Viareggio, lui restò menomato e lei fu condannata: ora deve anche dare all’Inail 360mila euro
I guai per la titolare dell’azienda dopo il grave infortunio del marito
VIAREGGIO. Un infortunio gravissimo sul posto di lavoro capace di innescare una sequenza negativa che travolge una famiglia. Che coincide tra quella della titolare e della vittima dell’incidente.
Il dramma primario è la grave menomazione subìta dall’artigiano impegnato a lavorare un blocco di marmo all’interno di una ditta intestata alla moglie. Quell’incidente è la premessa per la chiusura dell’attività a cui segue la condanna (non appellata) della titolare per il reato di lesioni colpose gravissime ai danni del marito-collaboratore familiare della piccola impresa. Ora arriva l’ultima mazzata per i coniugi con la sentenza del Tribunale di Lucca con cui viene accolta la domanda di rivalsa presentata dall’Inail che negli anni ha pagato l’indennità al lavoratore. Alla titolare dell’azienda, chiusa da anni, è stato imposto di pagare all’istituto circa 360mila euro, escluse le spese legali.
L’accertamento di responsabilità in sede penale dell’allora datrice di lavoro ha dato il via alla procedura con cui l’Inail ha ottenuto dal Tribunale il diritto a richiedere alla donna la somma in parte versata e anche accantonata per l’indennità dell’artigiano vittima dell’infortunio. Il fatto che i due protagonisti siano marito e moglie dà un sapore ancora più amaro a un dramma in cui lei, come datrice di lavoro condannata, deve dare all’Inail i soldi previsti per lui come indennità per l’infortunio. È l’unica forma di sostegno della famiglia.
Tra beffa e paradosso, la vicenda, anche e soprattutto umana, nasce da un contesto in cui gli ispettori del lavoro dell’Asl trovarono diverse lacune al momento del sopralluogo dopo l’incidente.
È il 2016 quando in un laboratorio della Versilia l’artigiano resta ferito in maniera gravissima durante la lavorazione con un trapano di un blocco di marmo.
La relazione dell’Asl riportava che «il trapano era sprovvisto di sistemi di protezione, tali da impedire il contatto tra il corpo dell’utilizzatore con gli organi in moto. Rileva, inoltre, che l’azienda non aveva elaborato il documento della sicurezza dalla legge 81/2008». Al processo a Lucca il tecnico Asl aveva «confermato gli elementi che dimostrano la sussistenza di un nesso causale tra la mancanza di protezione degli organi di movimento, l’inadeguatezza dell’attrezzatura in dotazione al lavoratore e l’evento di danno verificatosi».
La titolare si era difesa sostenendo che gli ispettori Asl «non avrebbero svolto un’approfondita indagine sul macchinario e sulle condizioni generali dell’azienda e che l’impianto su cui operava il lavoratore era a norma e che proprio per questo il macchinario ha consentito al trapano di interrompersi, immediatamente, a seguito del maggior sforzo accertato e che sarebbe stato onere dell’Istituto (Inail) dimostrare che l’eventuale presenza di adeguati sistemi di protezione avrebbe impedito l’evento».
Infine, «non era tenuta a redigere il documento sulla sicurezza, dato che nell’azienda vi era solo quel lavoratore che per di più essendo marito della datrice di lavoro figurava quale collaboratore familiare». Argomenti respinti dal Tribunale che l’ha condannata a rimborsare all’Inail 360mila euro con gli interessil