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La vicenda

Massa, cancella i simboli nazisti ma viene condannato: «Equiparato a chi le ha fatte»

di Giovanna Mezzana
Il muro a Massa
Il muro a Massa

Decreto penale per il giovane operaio che annuncia: «Farò opposizione»

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MASSA Sorpresa, cancellare i simboli del nazismo è reato. Così è da un decreto penale che giunge dal Tribunale apuano e che condanna un giovane massese a una pena pecuniaria di 1.800 euro per avere cancellato svastiche dai muri di un edificio del centro-città.

Armato di spray

È dicembre 2023 – esattamente un anno fa – quando Dario Buffa, operaio agricolo di 32 anni, varca la soglia della Questura di Massa. Da lì esce con in mano una denuncia per imbrattamento di spazi pubblici. Telecamere per la sicurezza urbana lo hanno ripreso mentre spruzza lo spray di una bomboletta sui muri di un parcheggio ricavato dal restyling dell’ex mercato ortofrutticolo: siamo sulla soglia del centro storico. Ma non sta imbrattando muri con sfottò “calcistici” o con dediche amorose. Sta coprendo svastiche. Più di una. Sono le 16 del pomeriggio, l’ora del passeggio anche per lo shopping natalizio: chiunque può vederlo. E lui non prova neppure a camuffarsi: è a volto scoperto. Identificarlo è tutt’altro che un’impresa ardua. Intanto comincia l’opera di pulizia dei muri cittadini da parte dell’Amministrazione del sindaco Francesco Persiani che già a novembre aveva condannato – «Vergognoso» – la comparsa delle croci uncinate sull’isola ecologica di (addirittura) via Donne Partigiane.

Il commento a caldo

«In una città medaglia d’oro al valore civile (Massa, ndr), in una provincia medaglia d’oro al valore militare (Massa-Carrara, ndr) – è quanto disse all’epoca Buffa al Tirreno tenendo in mano la denuncia per imbrattamento – non ho proprio resistito a cancellare quelle svastiche. Le ho coperte dipingendo sopra ad esse delle “x”». Da lì a poco al posto delle croci “polari” compare il volto del partigiano Aldo Salvetti. È la reazione di quel composito cosmo di gioventù antifascista e con un’anima anche ambientalista che tra la terra apuana, la Versilia e non solo ruota intorno e si ritrova alla battezzata Casa Rossa Occupata, un’ex casa cantoniera sull’Aurelia, all’altezza di Montignoso, luogo-simbolo per i giovani della sinistra-altra e fucina di idee: per altro sgomberata di recente – e forzatamente – con un’incontenibile reazione a catena di denuncia «per l’atto repressivo».

La condanna

A distanza di un anno – siamo all’oggi – arriva il decreto penale che condanna Dario Buffa al pagamento di una multa di 1.800 euro. «A questo punto andremo a processo, faremo opposizione», annuncia l’avvocato del Foro della Spezia Fabio Sommovigo, difensore del giovane.

«È un orgoglio, ma...»

Prima la denuncia ora la condanna: «Per me è una medaglia al valore, personalmente ne vado fiero – dice oggi il giovane – Dal punto di vista sociale, invece, è qualcosa di aberrante». E spiega il perché: non solo perché per lui è accettabile che «sia reato cancellare simboli del nazismo», ma anche perché «si equipara chi disegna una svastica a chi la cancella». Il decreto penale, infatti, condanna per imbrattamento al pagamento di una multa di 1.800 euro non solo Buffa ma anche uno dei due giovani (una ragazza) che hanno disegnato le croci gammate, mentre l’altro è condannato a sborsare qualche centinaia di euro in più. «In sostanza – aggiunge Buffa – ci imputano lo stesso reato. E questo lo dico non perché io desideri un incremento di pena: piuttosto, suggerirei per loro l’obbligo di servizio civile in un campo profughi». Poi conclude: «Non mi hanno fatto il processo? Adesso per una cosa del genere lo voglio».

La reazione

E anche questa volta il cosmo della Casa Rossa Occupata – anche se orfano della maison sgomberata – reagisce. E lancia dai propri canali social una raccolta fondi per aiutare Dario Buffa a sostenere le spese processuali. Non solo: il 28 dicembre si torna in piazza: «Contro procedimenti penali, minacce, sgomberi e repressione». Intanto sui muri del parcheggio non ci sono più svastiche ma disegni osceni e altre scritte non mancano.

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