Nuova Solmine compra Venator, l’ingegner Mansi e il futuro del polo chimico di Scarlino: «Operazione da 40 milioni»
Stamani la firma con cui la newco Sol-Tiox Srl entrerà in possesso dello stabilimento: «Via alla prima linea di produzione del biossido di titanio il 2 gennaio»
GROSSETO. La newco Sol-Tiox Srl è pronta da tempo, controllata per l’1% dal Gruppo Solmar e per il 99% da Nuova Solmine. Questa mattina, con la firma del contratto d’acquisto da Venator Plc, Sol-Tiox entrerà formalmente in possesso dell’impianto del Casone di Scarlino, dove da anni si produce biossido di titanio (TiO2). È il lieto fine di una vicenda travagliata. Una vicenda nel corso della quale si sono sovrapposte tante responsabilità: da quelle della multinazionale a quelle dei comitati che hanno sempre messo i bastoni fra le ruote e all'industria, fino alle colpevoli sottovalutazioni della politica e alle lungaggini istituzionali. Questo lunedì però inizia un’altra storia, tutta da scrivere e auspicabilmente positiva. Per fare il punto della situazione, Il Tirreno ha sentito l’ingegner Luigi Mansi. Il cofondatore di Nuova Solmine insieme a Ottorino Lolini e Giuliano Balestri, infatti, sin dall'inizio ha intuito le grandi opportunità di crescita insite nell'unificazione del business della produzione di acido solforico, di cui Nuova Solmine si occupa dal 1997, con quello del biossido di titanio, a Scarlino prodotto prima da Huntsman Tioxide e poi da Venator.
Dunque, ingegnere, 28 anni dopo aver rilevato l’attività di Solmine, ecco una nuova scommessa.
«Sì, in queste ultime settimane abbiamo lavorato alacremente alla costituzione della Sol-Tiox, che entro tre anni sarà assorbita da Nuova Solmine, e alla messa a punto del piano industriale. Nuova Solmine e Sol-Tiox integreranno al massimo i loro cicli produttivi, e produrremo acido solforico, biossido di titanio ed energia elettrica. D’altra parte, Venator Italy acquista da Nuova Solmine 200mila tonnellate di acido solforico all’anno».
L’impianto è pronto a ripartire?
«Sì, è stato mantenuto in efficienza. Per questo ci siamo dati l’obiettivo di partire con la prima linea di produzione del biossido sin dal 2 gennaio prossimo. Poi entro tre mesi di attivare la seconda linea, e se tutto andrà bene entro fine anno avere l’impianto a pieno regime. Abbiamo considerato una capacità produttiva di 20mila tonnellate per ogni linea. All’inizio lavoreranno 134 persone, a seguire tutti gli altri ex dipendenti Venator».
Quanto sono costate l’acquisizione della fabbrica e la presa in carico dei dipendenti?
«Il capitale “circolante” (attività e passività aziendali a breve termine, nda) necessario per chiudere quest’operazione industriale è di una quarantina di milioni di euro. Con questo impegno finanziario prenderemo, ad esempio, in carico il personale e i materiali in magazzino».
Si dice che l’attuale amministratore delegato di Venator Italy, Stefano Neri, rimarrà in azienda. È vero?
«Confermo. Abbiamo un ottimo giudizio del lavoro che ha svolto. Rimarrà con noi in veste di direttore generale».
Il 15 gennaio firmerete un accordo di programma al Ministero del made in Italy, su cosa verterà?
«Si tratta di un accordo quadro articolato in quattro grandi capitoli: occupabilità, tutela ambientale, ricerca applicata e investimenti impiantistici. Un accordo di programma che guarda al futuro, tenendo conto che siamo un polo produttivo d’interesse nazionale nel settore della chimica di base».
Iniziamo dall’occupazione.
«Tutti gli attuali dipendenti di Venator Italy, 200 persone, saranno assunti da Sol-Tiox. Quando il progetto sarà a regime, considerati i dipendenti di Nuova Solmine e quelli delle aziende subappaltatrici e dell’indotto, saranno oltre 600 gli addetti riconducibili al Gruppo Solmar, per un una ricaduta sul territorio intorno agli 80 milioni di euro».
L’impianto ha bisogno di investimenti massicci?
«La fabbrica è già in grado di produrre biossido di titanio così com’è. Ma il piano industriale ha messo in conto l’investimento di dieci milioni per una prima fase di revamping delle attrezzature. Poi vedremo».
Capitolo ambiente: c’è il problema della discarica per i famigerati “gessi rossi”.
«Intanto abbiamo ancora spazi di stoccaggio residui a Montioni e a piede di fabbrica. Nel primo caso si tratta di concludere i ripristini ambientali previsti. Nel secondo abbiamo spazi relativi a una vecchia autorizzazione, e i dieci ettari suddivisi in moduli da completare progressivamente, autorizzati alla fine del 2024 dal Comune di Scarlino. Abbiamo valutato che potrebbero bastare per i prossimi sei anni. Nel frattempo, abbiamo già definito il progetto per il riutilizzo della ex cara della Vallina a Bagno di Gavorrano, compresa la viabilità alternativa di accesso al sito, con un orizzonte temporale ventennale. A breve lo illustreremo alle istituzioni locali, dopodiché seguendo le procedure di legge lo depositeremo in Regione. Ci vorranno circa 15 milioni di euro. Infine, abbiamo già preso contatto con le aziende estrattive apuane per la fornitura della “marmettola” utilizzata per inertizzare l’acido solforico residuo della lavorazione. Un esempio di economia circolare».
Cosa prevede il capitolo “ricerca”?
«Investiremo 30 milioni di euro per mettere a punto processi industriali per riconcentrare, e quindi riutilizzare, l’acido solforico esausto residuo del ciclo di estrazione del biossido di titanio. E per recuperare a diverse forme di utilizzo i gessi. L’obiettivo è di ottenere ricavi anche dai rifiuti prodotti dal ciclo industriale».
Rimettere in moto una fabbrica significa avere a disposizione la materia prima da cui estrarre il biossido di titanio. Come siete messi?
«C’è un carico di ilmenite (il minerale da cui è estratto il biossido di titanio, nda) a piede di fabbrica, e un altro lo abbiamo acquisito in nord Europa. Ma abbiamo già valutato come rifornire la fabbrica, aprendo un’interlocuzione con il Mozambico. Paese ricco di materie prime».
Produrre biossido di titanio richiede un know how specifico, assicurato dalle maestranze, ma vendere il pigmento sui mercati internazionali è un altro mestiere.
«Abbiamo pensato anche a questo, per tempo. La rete di vendita è già allestita per il 70% e contiamo di arrivare presto a completarla. In questo momento in Europa, complice anche la stagnazione industriale, è tutto fermo. Ma dai nostri calcoli c'è mercato per una richiesta di 300mila tonnellate di biossido di titanio, noi saremo pronti nel momento della ripresa».
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