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Sogni, bandane e gol: Livorno e la notte pazzesca di 20 anni fa nel tempio di San Siro

Uno scorcio della curva interamente esaurita dai tifosi del Livorno
Uno scorcio della curva interamente esaurita dai tifosi del Livorno

L’11 settembre del 2004 il ritorno degli amaranto in serie A. Il viaggio, i cori per Silvio, la gioia per il pareggio

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Avrebbe potuto scegliere un cappellino da baseball, che fa tanto giovane. Un elegante Borsalino, magari: tanto, col suo reddito di un mese del Borsalino poteva comperarsi la fabbrica e il marchio. Ma lui no, ostinato, piacione a tutti i costi, egocentrico, narciso più del fiore, sprofondato nel culto della sua personalità. No, lui, Silvio Berlusconi, quell’agosto 2004 si inventa la bandana. Il mondo finge di non sapere (e lui finge di non averlo detto urbi et orbi) che pochi giorni prima l’inquilino di palazzo Chigi, deus ex machina di Fininvest e padrone del Milan, si è sottoposto a un intervento per un trapianto di capelli: poco male, lo ha fatto anche Antonio Conte che si è addormentato quasi calvo e si è svegliato con un ciuffo da liceale, figuriamoci se non può farlo l’uomo più potente d’Italia. Silvio soggiorna a Villa Certosa, Costa Smeralda, un mostro a nove teste più che una casa: c’è anche un vulcano con la finta eruzione, per dire, chissà cosa ne pensano gli algidi inquilini di Downing Street, Tony e Cherie Blair, ospiti di turno del Cavaliere. Che, appunto, si presenta con una bandana bianca a coprire il lavoro chirurgico, sorrisone a 58 denti e abbronzatura da record.

Pazza idea

Oltre il mare, a Livorno, qualcuno inizia a pensarci. L’idea è meravigliosa: ci pensi, andare a San Siro con le bandane, il Grande Nemico ridicolizzato a casa sua. Sì, ma chissà quando capiterà. Berlusconi stava a Livorno come l’alba col tramonto, lo zenith col nadir, le fragole con le acciughe: l’opposto degli opposti. Livorno non era più la “città dei comunisti”, come il Nostro aveva improvvisamente scandito nell’estate 2000, quando la sua nave della Libertà aveva fatto tappa qui, restando però al largo vista anche l’incursione di diversi gozzi pieni di bandiere rosse: il Cav non scenderà mai sull’odiato suolo, dove tanti anni prima era nato il partito della falce e martello, che dalle parti di Arcore veniva visto come Satana tra le navate di San Pietro.

Proprio nei giorni di Blair e del finto vulcano sardo, negli uffici della Lega esce il calendario della stagione 2004-2005. Tre mesi prima, in una notte di sudore e zanzare, in una sonnecchiosa pianura padana travestita da Copacabana, il Livorno è tornato in serie A, dopo 55 anni. Piacenza, la notte più lunga, la città che si riversa allo stadio all’ora in cui i barman dei night augurano la buonanotte con l’ultimo flute. La corsa sfrenata di Lucarelli, i sigilli operai di Ruotolo e Melara, il ricciolo bagnato di tutto (sudore, lacrime, incredulità) di Walter Mazzarri, esaltazione della livornesità di provincia, che quelli del capoluogo guardano sempre con il ciglio un poco alzato. Il riscatto, tutto insieme, di tante sfumature di grigio, di anni scivolati via, direbbe Raf, tra fallimenti e faticose scalate, disastri e pochi sorrisi, Corasco Martelli e Mantovani, Achilli e Caresana, pane duro che ci sembrava caviale, perché a questa gente basta poco. Non quella stagione però, non quella notte: da Genova è arrivato un Arcangelo del pallone con le sembianze di Aldo Spinelli, chissà perché lo ha fatto ma ha scelto noi. E dopo la B di Treviso ci regala la serie A, il Nirvana, il Valhalla.

Missione salvezza

Mazzarri saluta nella notte del delirio e, dal lungo conclave, esce Papa Franco Colomba, elegante e compassato grossetano, un tempo geometra del Bologna, oggi allenatore di lotta e governo che i livornesi chiamano subito Vittadello per i completi impeccabili e un tantino stretti che un tempo si vendevano in via Grande. Che mercato sia: arrivano Amelia tra i pali, Vargas, Galante e Alessandro Lucarelli dietro, il goniometrico Passoni in mezzo, Vidigal e Colombo. Missione salvezza: in città si studiano febbrilmente gli avversari e si aspetta lui, il calendario, la porta del sogno. Vuoi vedere che...

Silvio e le bandane

I pianeti si allineano, qualche volta, nella nostra galassia. Anche nel calcio, si. Prima giornata, 11 settembre: Milan-Livorno, a San Siro. Un boato unico, dal Manzanarre al Reno, da Stagno a Quercianella. Il Livorno nella Cattedrale di Silvio, Davide rosso (rosato, dai...) che prepara la fionda e il sasso da scagliare contro Golia, Ulisse che rinnova il derby con Polifemo. Mamma mia.

È febbre a 90. L’idea parte subito, come una schioppettata nel buio: tutti a San Siro, certo, ma come? Ma con la bandana, chiaro. Approvvigionamento libero: chi la trova, la compra saccheggiando negozi e centri commerciali. Chi non la trova, la realizza per suo conto: basta un fazzoletto bianco legato sulla fronte, come gli Scarronzoni a Los Angeles. In città non si trova più stoffa bianca, migliaia di mogli e mamme denunciano sospette sparizioni di lenzuola o fazzoletti: ma tant’è, qui si fa la storia.

San Siro amaranto

I pullman? Esauriti in pochi giorni, come i furgoncini, fiumi di auto. Il passaparola è un tamburo che scandisce i primi dieci giorni di un settembre caldo, come oggi. 11 settembre: appuntamento ovunque, dall’alba all’ora di pranzo, si parte. La Cisa è un lungo tappeto amaranto che si srotola senza fine, il casello di Melegnano un frastuono gioioso, oggi è bello esserci, andiamolo a trovare il presidente del Consiglio, quello che si è rifiutato di scendere dalla nave ed ha definito Max Allegri, scandendo le parole, un “co-mu-ni-sta”.

San Siro. Per noi, periferia profonda del calcio, è come passare da una piccola tv portatile in bianco e nero a un plasma con vista 16: 9: una Cattedrale, all’Ardenza il calciatore ti sembra di toccarlo, di abbracciarlo, qui sembrano piccoli come le statuine del Subbuteo. Tre anelli che ti piovono addosso, un effetto paralizzante, dove tutto rimbomba: ma com’è bello essere qui, dieci, undici, forse dodicimila spalmati nel primo anello dietro la porta di sinistra (of course), una marea di bandane, nonni, genitori, bambini, una città per cantare citando Ron. Oddio, cantare mica tanto: il coro, il mantra è dedicato sempre a lui, il padrone di casa, l’uomo di Arcore e di Palazzo Chigi, architetto del Milan che ha vinto tutto con Sacchi e che ora si affida a Carletto Ancelotti. Non sono complimenti ovvio. «Perché no, perché no, mille euro di multa perché no...» e via con la letterina d’amore al Cavaliere. Girano leggende metropolitane. La più bella racconta dello stupito “prego? ” degli addetti del bar dello stadio alla reiterata richiesta dei tifosi amaranto di avere un ponce. No, qui non si fa, nella Cattedrale non si fa.

La gente rossonera si aspettava una prima giornata qualsiasi contro una neopromossa qualsiasi: arriva al Meazza lentamente, idealmente sbadigliando. Poi gira lo sguardo al mare di bandane e capisce, ma non trova nemmeno la forza di dissentire o di fischiare, sopraffatta dallo stupore: dodicimila matti sono lì, ondate di teste, cuori e ugole che sfidano l’impossibile. Nemmeno gli juventini sono arrivati a tanto.

Cristiano-gol

Formazioni. Milan: Dida; Cafu, Maldini, Stam, Pancaro; Seedorf, Ambrosini, Rui Costa; Kakà; Tomasson, Shecvchenko. Livorno: Amelia; Vargas, Grandoni, Alessandro Lucarelli; Pfertzel, Vidigal, Passoni, Giallombardo, Vigiani; Protti, Lucarelli. Carletto abbraccia Vittadello per i fotografi, e si va. Com’è grande San Siro, sembra un altro gioco, il campo sembra enorme e sembra impossibile ai dodicimila che quello sia il Livorno che ha sofferto con la Cerretese e la Vogherese. Già, ma come giocano questi: tre minuti e Seedorf, tra incertezze e tremori amaranto, trova il Mar Rosso aperto come Mosè e giustizia Amelia con un rasoterra elementare.

Antipasto di una mattanza, pensa il mare di bandane, ma chissenefrega, vuoi mettere offendere Silvio (che non è venuto alla partita, ovviamente, delegando il fido Galliani) a casa sua? Ma i pianeti questa notte sono allineati e per vederlo non ci vuole il telescopio. Il Milan giochicchia pieno di sussiego e al 9’ecco l’impensabile: Vigiani prende alle spalle Cafu, è solo davanti a Dida, davanti agli occhi scorrono 90 anni di storia, è la sliding doors, l’assist del destino: Dida esce scomposto e abbatte l’amaranto, non solo è rigore solare, ma anche espulsione del portierone brasiliano. Peccato sia dalla parte opposta del mare di bandane, che trattiene il fiato: Cristiano Lucarelli, livornese quando c’è da lottare ma freddezza scandinava quando il gol chiama: il destro è un bisturi del chirurgo, Abbiati (entrato per Tomasson) non ci arriva. Gol a San Siro, ma come: siamo gli stessi che ne hanno presi 5 in casa col Treviso, ma qui i pianeti si sono allineati. Golia urla di dolore, l’occhio di Polifemo ferito da Ulisse: le bandane fremono, saltano, mandano affettuosi pensieri al Presidente del Consiglio.

Attacchiamo noi: Pfertzel indovina l’esterno della vita, Abbiati lo corregge sulla traversa. Anche Vittadello si agita in panchina, ed è tutto dire. Ma questo è il Milan, da solo fattura quanto il Pil di tre quartieri di Livorno. E all’alba della ripresa basta l’accelerazione del divino Kakà per armare ancora il destro di Seedorf, tuono nel sette e 2-1. La gens rossonera si sveglia: vuoi vedere che anche in 10 rimandiamo a casa i rossi, anzi i rosati? Non qui, non stanotte, i pianeti sono allineati, Lucarelli salta in testa a Maldini e Abbiati gela le bandane, ma la storia deve ancora scriversi.

Punizione dal limite, la barriera rossonera collassa e Cristiano la infila lì, tra teste e gomiti, Abbiati di sale: 2-2. E nel finale le ondate amaranto diventano fragore sullo scoglio di Ancelotti: Lucarelli farebbe anche il tris, l’arbitro Pieri annulla su segnalazione dell’assistente, se era buono non lo sapremo mai.

Serataccia ad Arcore

Il Cavaliere avrà cacciato maggiordomi e camerieri per sbollire la rabbia da solo. Ma come, loro? I rossi, anzi rosati? Quelli che mi hanno meleggiato con le bandane e mandato dove non batte il sole? Sì. loro. Al ritorno, la Cisa sembra la Costa Azzurra. E da 20 anni questa città rossa anzi rosata, quella del meglio disoccupato all’Ardenza che ingegnere a Milano, ha qualcosa da raccontare in saecula saeculorum. Quella volta che i pianeti si allinearono in zona San Siro.

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