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Francesco, la storia del seguace del santo dell’Amiata: «Vi racconto chi è il “Profeta” Davide»

di Silvano Polvani
Francesco, la storia del seguace del santo dell’Amiata: «Vi racconto chi è il “Profeta” Davide»

Da Arcidosso alla Somalia e ritorno sulle orme del Profeta della Montagna

22 luglio 2024
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ARCIDOSSO. Francesco Minucci è nato ad Arcidosso da famiglia di umili origini, 78 anni portati con il peso proprio di chi non si è risparmiato (dell’antico soprannome adolescenziale, “Grissino” poco è rimasto), il passo è pesante e incerto. La barba incolta e fluente, il “codo” che raccoglie i grigi capelli lo rendono una figura unica. Ma a guardarlo attentamente, incrociando i suoi occhi si possono leggervi giovinezza e ambizione, e l’anticonformismo che lo ha sempre accompagnato lungo gli anni della sua vita che definisce un romanzo.

La prima avventura e l’Africa

È all’età di 20 anni che abbandona il paese per trovare fortuna a Ponsacco, prima come decoratore e poi come operaio metalmeccanico. È da qui che si porterà in Somalia, terra lontana di cui non conosceva l’esistenza e che individuerà sulla carta geografica. Sarà addetto alla logistica di un’azienda italiana che coltiva e esporta banane. Si trova bene, familiarizza con gli abitanti, prende moglie, ma il sogno somalo dura solo cinque anni essendo il paese africano travolto dalle guerre civili che vive in continuazione.

Il rientro

Rientra a Roma, di nuovo in giro per la Toscana sino a rientrare al paese d’origine dove troverà il collocamento obbligatorio come profugo alle terme di Saturnia. Venti anni fra i vapori delle terme e poi in pensione. È solo ora che può approfondire e dedicarsi alla sua passione su Davide Lazzaretti, da molti definito il Profeta dell’Amiata. Un personaggio singolare sul quale si è scritto molto. Da alcuni considerato Santo, da altri un pazzo. In lui, taluni hanno anche visto un anarchico divulgatore di idee socialiste. Fatto sta che in molti si sono dedicati al suo studio: filosofi, letterati, politici del calibro di Antonio Gramsci, Gabriele D’Annunzio, Guy de Maupassant. Ebbe la difesa e l’amicizia di San Giovanni Bosco.

Il “Profeta”

Francesco la sua ammirazione per il “Profeta” la matura sin da piccolo, in paese. Racconta che al borgo e nella stessa montagna, per quanto mantenesse il suo carattere montanaro (maledetto e burbero) grande fosse il rispetto verso quest’uomo, sempre vi fosse stata una devozione nata fra la gente, molto diffusa e popolare. La stessa nonna di Francesco, vera beghina contornata in casa da altarini di Madonne e Santi, quando lo doveva riprendere gli esclamava “Lo disse il Santo Davide”, o “Come fece il Santo” e così via. Il nome e il ricordo del barrocciaio Davide Lazzeretti nella montagna è diffuso, raccontato ai bambini sin dall’adolescenza nelle lunghe serate invernali davanti al fuoco del caminetto nell’attesa della fragranza delle castagne.

La svolta e il pellegrinaggio

Con il suo rientro ad Arcidosso, dopo le peripezie della Somalia e il lungo peregrinare in terre lontane dalla sua montagna, incontra Turpino Chiappini, il sacerdote giurisdavidico: uomo poco dedito alle prediche ma persona dall’esempio irreprensibile di calma e correttezza. Con lui si porterà in pellegrinaggio a Montorio Romano, dove assieme sostano in meditazione nel silenzio denso e profondo di fronte ai ruderi che parlano del Santo e di uomini caparbi. Sarà il Turpino a introdurre Francesco alla conoscenza di Davide, gli propone letture, gli racconta episodi, lo conduce lassù sul monte Labro dove il Profeta si ritirò in tale cima, in mezzo alle stelle, divenendo il punto di riferimento del movimento lazzarettista tanto che vi furono costruite una torre nuragica (simbolo della nuova alleanza), una chiesa e un eremo, i cui resti sono ancora visibili e visitabili. Le pietre e i mattoni furono portati a braccia o sui muli e furono murate a secco; l’aspetto delle costruzioni suggeriva un nuovo modello di vita più austera ed essenziale. Per anni Francesco ha fatto da custode e guida, volontaria e gratuita, a quanti – come lui racconta – «vengono con la curiosità di arrampicarsi fino alla cima. Si portano in spalla depressioni, infelicità, pensieri affannosi. Li accompagno all’altare, li porto nella grotta e ci si bagna con l’acqua che scivola sulla roccia e che gli anziani ritengono miracolosa, si torna la notte a guardare le stelle e a ascoltare il silenzio, si va a leggere l’iscrizione sulla pietra che affascina tutti».

«Io, seguace»

Francesco si dichiara seguace del Santo Davide e lo spiega con convinzione: «Sono sempre stato un agnostico, un comunistaccio, con i pregi e i difetti fra i quali di essere anche filosovietico. Seguo Davide per la sua opera e la sua idea di una società che ha al centro un nuovo modello di vita, più austera ed essenziale: una comunità che vive con quello che ha e che lo vuole condividere. Questo è il messaggio di Lazzaretti che ho fatto mio e che racconto a chi me lo chiede e che non scomparirà mai sino a quando sarà custodito il suo ricordo su quel cocuzzolo di pietra su quei prati fioriti, di ruderi e distese verdeggianti rappresentati dal monte Labro, dove l’uomo lontano dalle luci abbaglianti della modernità ritrova la sua umanità». Ci saluta dandoci appuntamento al 14 agosto, vigilia dell’Assunta, dove in molti, come tradizione, si ritroveranno sul monte Labro dove al calar della notte accenderanno un grande falò e daranno avvio in fratellanza ad una cena comune.

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