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Moda in Toscana ancora in crisi, 10mila in cassa integrazione: “Senza interventi strutturali sarà un affanno continuo”

di Matteo Rossi
Moda in Toscana ancora in crisi, 10mila in cassa integrazione: “Senza interventi strutturali sarà un affanno continuo”

Nonostante timidi segnali di ripresa a Prato, il settore moda regionale resta in difficoltà. Produzione giù dell’11,4%, incertezza globale e rischio sociale alto

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Il settore della moda in Toscana è ancora lontano da una vera ripresa. Anche se negli ultimi due mesi, nel comparto di Prato – che è il capofila in Toscana – ci sono leggeri segnali di miglioramento. Non ci illudiamo, dice Yuri Meneghetti, segretario Filctem Prato Pistoia, ma «nel distretto pratese c’è un po’ meno ricorso alla cassa integrazione e anche se non si può essere ottimisti, forse riusciremo ad arrivare alla fine delle ferie estive». In Toscana, la moda rappresenta il 35% dell’intero manifatturiero regionale, per un importo totale di 12, 35 miliardi secondo i dati Istat e un bacino occupazionale stimato tra 130 e 140mila addetti. Una filiera che va dalla lavorazione della pelle alla produzione di bottoni, fino ad arrivare alle grandi firme del prêt-à-porter e dell’extra-lusso. È il settore industriale più importante della regione, superando cantieristica navale e comparto lapideo.

Rossano Rossi, segretario generale della Cgil Toscana, parla senza mezzi termini: «Questa è una crisi – dice – che sta andando avanti da diverso tempo. In questo momento ci sono oltre 10mila lavoratori in cassa integrazione, sussidio in alcuni casi ormai prossimo all’esaurimento. Il rischio è quello di trovarsi di fronte a problemi sociali rilevanti».

La Regione ha istituito un tavolo permanente con le parti sociali e i rappresentanti delle imprese, «ma da sola non può reggere, non ha nemmeno le competenze legislative per farlo – aggiunge Rossi -. Servono strategie nazionali vere, piani industriali precisi. Basta con gli aiuti a pioggia: occorre un sostegno intelligente, anche sul fronte dei salari, per tenere in vita le piccole realtà artigiane, che sono l’ossatura del sistema. Serve una visione politica di lungo periodo». A peggiorare il quadro, anche il possibile impatto dei dazi voluti dall’amministrazione statunitense di Trump, che rischiano di colpire duramente l’export italiano del comparto.

Anche l’Irpet (Istituto Regionale per la Programmazione economica Toscana) , nel suo ultimo rapporto, ha fotografato una realtà tutt’altro che rassicurante: il comparto moda è tra quelli che nel 2024 hanno sofferto di più. Già il direttore di Irpet, Nicola Sciclone, partecipando al Tavolo della moda convocato dalla Regione Toscana a fine 2024 per affrontare insieme (istituzioni, imprese, sindacati) la crisi del settore, aveva segnalato il calo della produzione regionale negli ultimi 10 mesi dello scorso anno dell’11,4% (contro il 4,4% della produzione generale) . Dopo il rimbalzo subito dopo la pandemia, la filiera del lusso – pelletteria, calzature, abbigliamento – è tornata a perdere colpi, frenata da costi crescenti, calo degli ordini e incertezza internazionale. Secondo l’istituto regionale, il modello produttivo toscano legato alla subfornitura delle grandi griffe mostra segnali di affanno sempre più evidenti. E se da un lato le maison scelgono di ridurre i volumi o delocalizzare parte delle lavorazioni, dall’altro le piccole imprese che reggono l’impianto della filiera arrancano.

Anche sul piano nazionale i numeri confermano il rallentamento e non lasciano spazio a troppi entusiasmi. L’Ufficio Studi Economici e Statistici di Confindustria Moda traccia un quadro della moda maschile italiana – che include abbigliamento in tessuto, maglieria, camiceria, cravatte e pelle – , un settore che ha chiuso il 2024 con una contrazione del -3,6%, dopo tre anni consecutivi di crescita. Il fatturato si attesta a 11,4 miliardi di euro, pari al 19,1% della filiera tessile-abbigliamento del Paese. A registrare le perdite più marcate sono le cravatte (-8,2%) , seguite da maglieria e confezione (-3,8%) . Solo il comparto della confezione in pelle chiude in positivo, con un modesto +5,6%. Anche il valore della produzione – che rappresenta l’attività industriale vera e propria al netto della commercializzazione – cala del -3,0%. L’export, pur restando la colonna portante del settore (77,4% del fatturato) , si limita a un debole +0,1%, mentre l’import scivola del -5,4%.

Sul mercato interno, i consumi delle famiglie italiane mostrano una timida ripresa: +0,8% nel 2024, ma ancora ben lontani dai livelli pre-pandemia. La stagione primavera/estate si è chiusa in rosso (-0,6%) , con cali in tutti i comparti, salvo la confezione maschile.

Più incoraggiante il semestre autunno/inverno 2024 – 25, con una crescita media del +1,6%, trainata dalla confezione (+2,1%) e dalla maglieria, mentre le cravatte restano il fanalino di coda anche in questa fase. La moda, quindi, non sembra ancora essere uscita dal tunnel della crisi post pandemia e ha bisogno di una spinta per tornare a correre. Il quadro è quello di un settore rallentato, sostenuto da un export maturo, ma da un mercato interno ancora fragile. In Toscana, dove il settore rappresenta il cuore pulsante dell’economia manifatturiera italiana superando regioni come Veneto e Lombardia, la posta in gioco è alta.

«Servono politiche strutturali, altrimenti sarà un affanno continuo», sollecitano i sindacati. Una richiesta che è arrivata anche dagli Stati generali della Pelletteria italiana che si sono riuniti a Firenze il 15 maggio scorso. In quell’occasione il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, sottolineò il lavoro del Governo, incentrato sul Ddl Pmi, che ha definito «misure per circa 250 milioni di euro dedicati proprio alle micro, piccole e medie imprese del settore moda: di questi, in particolare, 100 milioni sono dedicati ai mini-contratti di sviluppo che agevolano l’aggregazione tra PMI». l

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