Il Tirreno

Toscana

La polemica

Firenze, il ministro Giuli contro la sinistra: «Le sono rimasti solo i comici». E boccia Massini al vertice del teatro della Toscana

di Mario Neri

	Alessandro Giuli, ministro della Cultura durante la visita a Firenze per la tre giorni organizzata da Fratelli d’Italia
Alessandro Giuli, ministro della Cultura durante la visita a Firenze per la tre giorni organizzata da Fratelli d’Italia

Il ministro della Cultura in città per la tre giorni organizzata da Fratelli d’Italia: «Montanari? Un odiatore». E rilancia l’idea di intitolare una rotonda a Giovanni Gentile: «Sarebbe un atto di pacificazione»

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FIRENZE. Dice di averlo trasformato in un «ministero del popolo, e della cultura» e chissene se somiglia al Minculpop. È pure andato al Vittoriale, con la gente che se ne «infischia» dei salotti. Attacca la sinistra di Geppi Cucciari e Elio Germano, colpevoli di averlo punzecchiato per la tendenza alle perifrasi forbite (leggi: supercazzole) al Quirinale. Attacca la sinistra di Tomaso Montanari, a cui dà dell’«odiatore». Alla Pergola, fosse per lui, farebbe fuori Stefano Massini, e non si capisce bene se ascriva lo scrittore diventato direttore artistico alla categoria “salotti” o a quella più triviale degli “influencer”.

Fatto sta per il ministro Alessandro Giuli «la sinistra pensava che la cultura fosse roba loro», sbotta (con deroga marinettiana per la sintassi) nel suo completo coloniale dal palco del teatro Niccolini di Firenze dove Fratelli d’Italia ha organizzato la tre giorni di revanscismo ideologico e culturale della destra di governo. I sinistri, dice Giuli, «avevano intellettuali e li hanno persi, si sono poi affidati agli influencer, ora gli sono rimasti i comici e basta». Quelli di destra sì che sanno gestirla la cultura, la stanno «governando veramente da patrioti», mica da grattachecche e fichetti con quelli lì (della sinistra, ca va san dire).

Insomma, se non è un manifesto è certamente una manifesta affermazione di potere quella che va in scena nel capoluogo toscano. E Giuli mostra i muscoli. Apocalittismo offensivo, per citare il ministro. Bordate agli avversari politici come se non ci fosse un domani. «Il 30% degli italiani oggi sono rappresentati, oltre che da un governo solido e con grandi prospettive, da un'identità culturale, quello che fino a pochi anni fa era rubricata a sottocultura antisistema». E sostiene ci sia «una minoranza rumorosa che si impadronisce perfino dei più alti luoghi delle istituzioni italiane, il Quirinale, per cianciare in solitudine, mi riferisco a Elio Germano».

Ma quello di Giuli è soprattutto l’annuncio di una spoliazione. I Fratelli d’Italia «rovesciano il paradigma» verrebbe da dire, sempre per citarlo. Il sapere, la conoscenza, l’arte non son più un universo sconosciuto, un territorio inesplorato. A quelli del Niccolini, per dire, piace un monte citare «l’egemonia gramsciana» e «l’intellettuale organico». Così Giuli sostiene che il miglior successore di Marco Giorgetti alla Pergola sia «Giorgetti medesimo», cioè il direttore generale del Teatro della Toscana a cui la sindaca Sara Funaro ha annunciato di voler rescindere il contratto (160mila euro annui) per affidare il teatro a Stefano Massini. È da sabato che i meloniani fan capire che Massini lo spedirebbero sulla Luna come Astolfo.

Da ieri scrittori, intellettuali, perfino la Cgil lo difendono, ché in fondo alla Pergola ha già messo su una scuola di scrittura di successo ed ha accettato pure di farlo tagliandosi lo stipendio rispetto al predecessore Accorsi (80mila invece di 100mila). Ma niente. Giuli è scatenato. E un minuto dopo passa a Montanari. «Un odiatore», dice. Per questo non l’ha rinnovato al museo Ginori a Sesto Fiorentino, «andava depoliticizzato». E poco importa che Montanari gli ricordi di aver piazzato al suo posto Marco Corsini, sindaco di Rio e ex assessore con Alemanno. Giuli rilancia l’idea di intitolare una rotonda a Giovanni Gentile a Firenze. «Sarebbe un atto di pacificazione». Giura: pacificazione. Ma nessuno lo capisce. Figurarsi Funaro («Finché sono sindaca io non se ne parla»). Al prof della gauche fiorentina allora suggerisce di andare a chiedere un posto a Giani. Che è un po’ come dire che la cultura, a sinistra, è gestita così, per affiliazione. Tomaso però non mangia la foglia e risponde: «Ma se lei è lì perché è amico di Meloni».


 

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