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La Toscana ebraica sotto protezione: «Il 7 ottobre risveglia istinti barbarici»

di Francesca Ferri

	La sinagoga a Livorno
La sinagoga a Livorno

Intervista al console Marco Carrai, dopo le minacce e gli insulti al corteo pro Pal: «Gli studenti universitari hanno paura. Il cartello contro di me? Mi ha fatto male»

05 ottobre 2024
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FIRENZE. Si avvicina l’anniversario dell’attacco di Hamas ai kibbutz e al rave Nova che, il 7 ottobre dell’anno scorso, ha segnato l’inizio della guerra tra Israele e Hamas, oggi estesa e tutto il Medioriente. E in Italia sono state elevate le misure di protezione a 205 siti ebraici sensibili, alcuni dei quali si trovano in Toscana, a Firenze, Pisa, Livorno: sinagoghe, sedi delle comunità, cimiteri, scuole, consolato. «Putroppo il 7 ottobre riesce a richiamare istinti barbarici nei confronti degli ebrei. Invece di essere ricordato come moderno pogrom, una tragedia, l’uccisione a freddo di persone, con stupri e rapimenti, qualcuno inneggia a atto eroico di resistenza», dice al Tirreno Marco Carrai, console onorario di Israele per la Toscana, l’Emilia Romagna e la Lombardia, oltre che imprenditore.

Console, quanti sono oggi gli ebrei in Toscana?

«I residenti sono circa 3mila, poi ci sono tanti studenti, ad esempio nelle varie scuole internazionali e americane a Firenze, ma anche nelle università di Firenze e Pisa nelle facoltà di Medicina e Architettura, che sono molto impauriti anche per quel che succede nelle università».

È a conoscenza di episodi particolari?

«Mi hanno riferito di scritte, minacce nel corso dell’ultimo anno. La guerra ha esasperato un sentimento di base che covava. Io ho denunciato tutto, anche quello che viene detto sui social».

Che segnali ha avuto la comunità ebraica in questo ultimo anno rispetto al periodo antecedente il 7 ottobre?

«I segnali sono molto chiari: ormai si è fuso con la parola “antisionismo” l’antisemitismo e l’anti Stato di Israele. Taluni, in modo furbesco, cercano di non chiamarlo “antisemitismo” mascherandolo in “antisionismo”. Ma quando si dice che “lo Stato di Israele in quanto tale è uno Stato terrorista” e si dà voce a Hamas e ad altre organizzazioni terroristiche, ultima Hezbollah... Sono organizzazioni che dichiarano che deve esserci una nuova diaspora degli ebrei, che non dovrebbero stare in quei territori che da millenni sono la storia di Israele e riconosciuti come nascita dello Stato di Israele dalla delibera Onu 181 del 1947. All’epoca gli Stati arabi se ne fregavano altamente della nascita dello Stato della Palestina. All’indomani dell’autoproclamazione dello Stato di Israele nel 1948, nei territori destinati ad esso dall’Onu, la Palestina non si autoproclamò e il giorno dopo i Paesi arabi invasero Israele, venendo sconfitti. I profughi palestinesi non li ha voluti nessun Stato arabo. Bisogna ricordarla bene, la Storia».

Venendo al presente, c’è una guerra in corso con una risposta da parte di Israele molto forte. Lei è d’accordo con la linea del premier Netanyahu? O pensa si possano percorrere vie diplomatiche? A che risultato mira Israele per spegnere l’ultimo carro armato?

«Che ci debba essere una risposta anche diplomatica è chiaro. Ma che uno Stato, e soprattutto uno come quello ebraico, perseguitato nei millenni e che hanno cercato di annientare in modo sistematico, si debba difendere da attacchi ricevuti in modo terroristico dai vicini, mi sembra il minimo che può fare come autodifesa. Parliamo sì delle bombe sganciate per uccidere un terrorista come Nasrallah, ma tutti tacciono dei continui razzi, a centinaia, che da decenni Hezbollah e Hamas lanciano su Israele e che solo grazie alla tecnologia di Israele vengono intercettati. Il limite dell’autodifesa è anche, purtroppo, l’attacco. Lo sapeva Churchill, che fu l’unico in grado di capire che Hitler non si poteva sconfiggere con la diplomazia, ma sui campi di battaglia. Il male non si sconfigge con una pacca sulla spalla».

I bombardamenti di Israele hanno colpito, però, anche decine di migliaia di civili, bambini, anziani.

«La differenza è che uno Stato civile avvisa le persone di allontanarsi. Purtroppo, e sottolineo mille volte purtroppo, ci sono anche delle morti civili e questo non dovrebbe accadere. Ma lo Stato di Israele fa di tutto per avvertire le persone ad allontanarsi. I terroristi, invece, usano i civili, le scuole e gli ospedali per farsi scudo: questa è la semplice differenza».

Come vede l’evolversi della situazione ora che si è aperto un fronte con l’Iran?

«Mi auguro che questo fronte finisca isolando dal punto di vista diplomatico l’Iran, che è il vero problema della regione, non solo di Israele ma anche dei Paesi sunniti. Prima della guerra in Ucrina, fatto 100 i missili sparati sulla Terra, 98 erano quelli sparati dagli Houthi contro l’Arabia Saudita. Questa non è solo una guerra che Israele fa per la sua sopravvivenza, ma è anche il tentativo di fermare un asse del male che da troppi anni alimenta destabilizzazione e terrorismo in tutta quell’area. Poi è chiaro che il tutto deve essere concepito perché nasca davvero lo Stato di Palestina, ma, la Storia insegna, non può nascere da zero, ci deve essere una transizione che non può essere guidata da Hamas o Hezbollah, ma da quei paesi sulla via delle riforme: Giordania, gli Emirati o l’Arabia Saudita».

Tornando in Italia, alla manifestazione pro Palestina in cui sono stati esposti cartelli contro la senatrice Liliana Segre e il ministro Crosetto con la scritta “agente sionista” c’era anche un cartello con la sua faccia. Che effetto le fa essere bersaglio dell’odio di queste persone? Cosa direbbe a chi teneva quel cartello in mano?

«Purtroppo non gli potrei dire niente, perché quelle persone lì non ragionano, sono accecate da un odio irragionevole e quindi non sono convincibili con i fatti e gli atti. Quel cartello mi ha fatto male, e anche quello che ci è stato detto sopra: che ci dovevano venire a prendere a casa, a segnare le porte. Cose che ci riportano al nazismo e a un passato che non passa mai del tutto, una metodologia che richiama all’odio pervasivo nei confronti del popolo ebraico».

Perché non si può estirpare?

«C’è un pregiudizio ormai storico, escatologico, inserito all’interno del grande fiume della storia che vede nel popolo ebraico la fonte e l’origine di tutti i mali. Si potrebbe fare di più dal punto di vista educativo». 

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