Il Tirreno

Il caso

Massa, ha il biglietto valido per il treno dopo: ex candidato a sindaco fatto scendere con il figlio disabile


	Marco Lenzoni all'uscita della Polfer di Reggio Emilia
Marco Lenzoni all'uscita della Polfer di Reggio Emilia

Il sindacalista: «Ero con mio figlio disabile e dovevo essere a casa per le cure». La risposta di Trenitalia

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MASSA. Sarebbe dovuto essere un semplice viaggio di ritorno da Bologna dopo due giorni trascorsi tra visite e accertamenti medici all’ospedale Sant’Orsola. E anche un ritorno rapido, dal momento che alle 17 sarebbero dovuti essere a casa, a Pontremoli, per la cura del figlio. Invece, per Marco Lenzoni, storico attivista, sindacalista ed ex candidato a sindaco a Massa, la moglie e il figlio di 10 anni – con un’invalidità al 100% – quel viaggio è finito (tardi) in questura con due denunce (nei confronti suoi e della moglie) per interruzione di pubblico servizio, il coinvolgimento della polizia ferroviaria e un’ora di treno bloccato alla stazione di Reggio Emilia.

A raccontarlo è lo stesso Lenzoni. «Siamo stati portati tutti e tre in questura, mio figlio compreso, nonostante avesse un biglietto regolarmente emesso, ma per un treno in partenza mezz’ora dopo. Rischio fino a 7 anni di carcere per una situazione che si poteva risolvere in modo diverso».

Lenzoni spiega di essersi recato a Bologna per visite urgenti che in Toscana avrebbero richiesto almeno otto mesi d’attesa: «Abbiamo speso 300 euro tra viaggio, pernottamento e visite. Abbiamo anche pagato l’Iva come se fossimo andati in vacanza. Un impegno non da poco per una famiglia come la nostra».

Il problema sarebbe nato al momento di rientrare a casa: «Quando siamo arrivati in stazione avevamo 39 persone davanti e le biglietterie automatiche erano tutte occupate. Sembrava impossibile farcela, ma il treno fortunatamente era in ritardo di 20 minuti. Due turiste ci hanno fatto passare avanti e siamo riusciti ad avvicinarci a una macchina. Purtroppo però, essendo il treno in ritardo, il sistema lo dava già come partito e non ci permetteva di acquistare i biglietti». A quel punto si sarebbero rivolti a un’addetta Trenitalia: «È stata molto gentile. Ci ha consigliato di fare il biglietto per il treno successivo e di salire comunque spiegando la situazione al capotreno».

Una soluzione apparentemente semplice, ma che si sarebbe complicata poco dopo. «Il treno era affollatissimo -c continua a raccontare -. Non si vedeva nessun controllore. Dopo un po’, però, si è avvicinato un uomo con una pettorina rossa con su scritto “servizio clienti” che ci ha chiesto i biglietti. Abbiamo raccontato tutto, ma niente: voleva farci scendere. Gli ho spiegato che mio figlio è disabile, che ha bisogno di prendere le terapie a orari precisi. Ho tentato il dialogo, ma la risposta è stata la chiamata alla Polfer».

Alla stazione di Reggio Emilia, il treno si sarebbe fermato per circa un’ora. «Sono saliti tre agenti e ci hanno fatti scendere davanti a tutti – ricostruisce Lenzoni -. Ci hanno portati in questura, dove ci hanno detto che ero stato denunciato per interruzione di pubblico servizio. Una scena surreale. E pensare che il ministro parla tanto di sicurezza e poi questi agenti sono stati tutto questo tempo con noi invece di occuparsi delle zone dello spaccio che erano lì accanto».

Tanti i messaggi di solidarietà arrivati a Lenzoni e alla famiglia, anche dal deputato Cinque Stelle Riccardo Ricciardi che si dice pronto a presentare un’interrogazione.

Trenitalia per tanto fa sapere di aver avviato «nell’immediato i necessari approfondimenti per chiarire quanto accaduto», ma intanto replica con la sua versione. «Una volta riscontrata la mancata regolarità dei biglietti, il personale ha proposto ai passeggeri prima l’acquisto di un nuovo biglietto e poi l’utilizzo del treno successivo – si legge in una nota -. Entrambe le opzioni sono state rifiutate, come pure la richiesta di fornire un documento di identità al personale che, nell’esercizio delle proprie funzioni, riveste il ruolo di pubblico ufficiale. La conversazione è poi degenerata fino alla minaccia da parte dell’uomo di bloccare il treno mettendosi davanti alla porta di uscita e di chiamare lui stesso le forze dell’ordine. Per questo veniva richiesto l’intervento della Polizia Ferroviaria a Reggio Emilia, che convinceva le persone a scendere permettendo la ripartenza del treno il cui fermo stava anche generando le proteste degli altri passeggeri».


 

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