Il Tirreno

Pianeta lapideo

Il Bianco di Carrara non acceca più, spettro della “cassa” sulle imprese: timore per i dazi di Trump e per la concorrenza dei resinati

di Giovanna Mezzana
La lavorazione in cava
La lavorazione in cava

Soffiano venti di crisi sul settore, nonostante nel 2024 l’export sia cresciuto: si pensa all’uso degli ammortizzatori sociali

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CARRARA. Non c’è più il “Bianco” di una volta: o meglio, la qualità della pietra apuana è rimasta tale – un unicum, grazie a Madre Natura – ma non strega più i mercati come un tempo. Lasciamo per un istante da parte il marmo Bianco ordinario – tenendo a mente che è il materiale più diffuso nelle cave carraresi – e parliamo del settore lapideo nella sua interezza. È vero che le esportazioni “local” di marmo verso il mondo sono cresciute nel 2024, ma le prospettive del settore non scoppiettano: non sono pochi gli imprenditori apuani della pietra che starebbero valutando di ricorrere agli ammortizzatori sociali, alla cassa integrazione. Ci sono dati a testimoniare che le cose non vanno bene come potrebbe pensare il senso comune: ci sono i “numeri” dell’Istituto di Studi e Ricerche della Camera di Commercio della Toscana nord ovest e ci sono quelli dell’Ufficio marmo del comune di Carrara da cui arriva un alert: nei primi due mesi del 2025 dalle cave carraresi sono state escavate 93mila tonnellate di blocchi; ovvero, il quantitativo più basso degli ultimi 25 anni.

Le belle performance

Nel 2024 i volumi dell’export apuano di pietra sono aumentato rispetto all’anno precedente dell’8 per cento per i blocchi e del 12,4% per la pietra lavorata. Tant’è che la Camera di Commercio parla nel proprio report di «buon andamento». Basta questa performance per dire che c’è un bilancio di crescita diffusa? Rispondono gli addetti ai lavori: «No».

Giù dal monte

La cartina al tornasole che dice se e quanto il settore cresce, se e quanto industriali e imprenditori vedono rosa, è il quantum del materiale estratto. Eravamo già ai minimi storici nel 2023 con circa 650mila tonnellate di blocchi venuti giù dal monte: dieci anni prima, nel 2013, si superò quota 900mila e a inizio degli Anni Duemila – nel 2001 e nel 2002 – si andò oltre la soglia del milione di tonnellate. Il 2024 è andato grossomodo come il 2023. Tra gennaio e febbraio di quest’anno sono state escavate poco più di 90mila tonnellate – 93.565 – e si tratta del punto più basso a cui si è precipitati nell’arco di cinque quinquenni. Il di-imprenditore pensiero suona così: “Perché estrarre tanta pietra se non la vendo? La lascio nel ventre della montagna piuttosto che a “marcire” sui piazzali”.

Che cosa non tira più?

Il Tirreno ha chiesto che cosa significhino queste poco più di 90mila tonnellate agli esperti del settore: perché si estrae così poco, perché le macchine-giganti da cava sembrano avere il freno a mano tirato. La risposta è univoca: i quantum sono così bassi perché «è in crisi il materiale più diffuso». Non lo Statuario e il Calacatta bensì il Bianco medio, ordinario, che inizia a non essere più una calamita per la clientela mondiale.

Ai ripari

Alcuni imprenditori starebbero pensando di contenere i costi contenibili. C’è la cassa, che è un paracadute. Intanto già qualche impresa è in concordato preventivo fallimentare con esercizio provvisorio (i dipendenti incassano lo stipendio). Lasciando la scelta di cosa fare a chi fa impresa e investe del proprio – da qui il rispetto socialmente “dovuto” – resta da capire cosa stia succedendo. Ci sono timori – che arrivano dal complesso quadro geo-politico internazionale – e c’è la concorrenza, come in tutti i settori.

From Usa

Il mondo saprà domani cosa il presidente degli Stati Uniti Donald Trump abbia deciso di “combinare”. Nei giorni scorsi l’Amministrazione Usa stava lavorando a dazi universali da applicare dal 2 aprile, e che nelle intenzioni del Tycoon dovrebbero colpire tutti i Paesi, non solo i Dirty 15, cioè quelli con i maggiori squilibri commerciali con gli Stati Uniti. Il presidente della delegazione di Massa-Carrara di Confindustria Toscana Centro e Costa Matteo Venturi e il presidente della sezione marmo Fabrizio Santucci hanno, di recente, e anche dalle pagine de Il Tirreno, già messo in guardia il mondo apuano delle imprese del marmo che questo “è un problema”: e che potrebbe innescare riverberi significativi. Vedremo.

Gli antagonisti

Poi c’è la concorrenza che “agisce” sul marmo come sul legno: se prima c’era il parquet – in quercia, in rovere – adesso c’è il gres porcellanato-effetto legno, che costa meno: si risparmia sulla materia prima e sul lavoro artigianale per la messa in opera, e poi non deve essere “mantenuto”, eventualmente smacchiato; e se prima c’era il Bianco di Carrara, adesso ci sono (anche) i “falsi marmi”, ovvero, i gres porcellanati-effetto pietra. E poi, ancora, al posto del Bianco che anni fa mandava in brodo di giuggiole, buona quota di architetti e designer del mondo sono affascinati dai “colorati (beato chi li ha o è in grado di trovarli).

E quindi?

E quindi gli imprenditori del marmo – almeno, alcuni di loro, perché il settore è molto variegato e di questo si deve tenere conto – restano alla finestra. È l’Economia dell’Attesa, si dice, perché il quadro internazionale è guerrafondaio, dagli Anatemi di Trump al Riarmo dell’Unione europea. Decelerano si fermano. E non investono: e questo, di un sistema economico, è il segnale più preoccupante.

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