Il Tirreno

Livorno

L'inchiesta

Truffe sui permessi di soggiorno a Livorno, le intercettazioni: «Adesso mi picchiano sotto casa»

di Stefano Taglione
I carabinieri durante la conferenza stampa al comando provinciale
I carabinieri durante la conferenza stampa al comando provinciale

Così un cittadino straniero parlava con un’indagata dopo il blitz dei carabinieri: «Non posso fare più niente, mi hanno sequestrato tutto lasciandomi solo la sim»

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LIVORNO. «Non mi mandare più messaggi Whatsapp. Non ti ho bloccato, il cellulare se lo sono presi i carabinieri». La trentatreenne napoletana Antonietta Sorrentino, fra le cinque persone finite ai domiciliari per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per aver organizzato l’ingresso in Italia di alcuni migranti bengalesi, indiani ed egiziani sfruttando le semplificazioni del “Decreto flussi” e facendo finta di farli assumere in aziende eccellenza del territorio come Ornellaia e Agricola Chiappini di Bolgheri, avrebbe continuato a parlare al telefono della sua presunta attività illecita anche dopo il blitz dei militari del nucleo investigativo di Livorno, comandato dal tenente colonnello Guido Cioli, che nel novembre scorso insieme ai colleghi del nucleo ispettorato del lavoro, diretto dal luogotenente Aldo Ferrecchia, l’avevano perquisita, indagandola, scoprendo il contestato “Caf abusivo” fra le mura domestiche di Carbonara di Nola, in provincia di Napoli, e sequestrandole una quantità imponente di documentazione e dispositivi, fra cui appunto il telefonino.

Le intercettazioni

Le avevano però, volontariamente, lasciato la sim card, cioè il suo numero originario, che lei prontamente ha poi installato su un secondo cellulare per tornare a comunicare. Ed è proprio attraverso questo, mentre i carabinieri la stanno ascoltando, che continua a parlare. È una conversazione con un cittadino straniero, al momento non identificato, quella su cui si concentrano gli inquirenti coordinati dalla procura labronica. «Una conversazione di altissimo interesse – scrive nell’ordinanza di custodia cautelare il giudice per le indagini preliminari Gianfranco Petralia – in quanto Sorrentino spiega all’uomo che le hanno sequestrato i computer e i documenti, e che non può fare più niente». «Io non tengo niente. Mo’ non tengo più nemmeno i documenti, niente. Anche i computer. Non posso fare più niente. La sim me l’hanno data, il telefono se lo sono preso. I computer se li sono presi e gli incartamenti se li sono presi», le sue parole. Sorrentino suggerisce all’interlocutore anche di «fare l’eliminazione di tutta la chat di Whatsapp». «Non ti posso mandare le fotografie perché non ho Whatsapp», ribadisce la donna nel corso della conversazione. Con l’uomo molto preoccupato: «Sì, mi hanno messo anche il mio c***, io non posso andare a lavorare perché qua mi vengono a picchiare fuori casa mia, sto a casa, dentro casa, non sto neanche lavorando. Capito? Allora cerca di risolvere...», la raccomandazione.

Il sistema

L’indagine che ha portato all’arresto delle cinque persone è scattata dopo la denuncia dei legali rappresentanti di Ornellaia e Masseto e dell’Agricola Chiappini, due delle aziende truffate nella richiesta dei permessi di soggiorno alla prefettura, che non avevano fatto alcuna richiesta per assumere operai stranieri e si sono ritrovate, invece, coinvolte loro malgrado con i documenti di identità dei loro rappresentanti legali falsificati. Questo sarebbe stato – secondo l’accusa – lo stratagemma per far entrare in Italia i cittadini asiatici, sotto pagamento chiaramente, stando a quanto ricostruito dai militari. Ma fra le imprese raggirate, da persone che però al momento non sono state individuate, ci sono anche la Tenuta San Guido, simbolo dei vini col Sassicaia, e la Società agricola Citai, entrambe di Bolgheri. Secondo l’accusa, in cambio di denaro al momento non quantificato, due distinti gruppi partenopei attraverso un procacciatore di manodopera asiatica avrebbero individuato gli extracomunitari da far entrare in Italia e, falsificando i documenti dei rappresentanti delle ditte, avrebbero inoltrato alla prefettura le istanze per il rilascio dei nullaosta per ottenere i permessi durante gli speciali “click day” organizzati dal Governo per inoltrare le domande. Nelle loro intenzioni la prefettura avrebbe dovuto “rispondere” in un mese con il silenzio-assenso e da quel momento, grazie al “Decreto flussi”, i richiedenti avrebbero ottenuto facilmente il visto per arrivare in Italia al consolato e alla nostra ambasciata nel loro Paese. Dopodiché avrebbero potuto acquistare il biglietto aereo e superare la frontiera. Poco importa se entro sette giorni, col datore di lavoro, dovevano presentarsi nel consolato di appartenenza in Italia (quello del Bangladesh, dell’India o dell’Egitto a seconda della nazione di provenienza) per regolarizzare la propria posizione e iniziare a lavorare. Non lo avrebbero mai fatto, perché non era il loro obiettivo. Il fine era entrare in Europa e viverci da clandestini, guadagnandosi in qualche modo da vivere.

I nomi

Ai domiciliari, oltre a Sorrentino, ci sono marito quarantatreenne di Carbonara di Nola Umberto Saviano, il quarantottenne di Palma Campania Mario Ferrara, il cinquantunenne di San Giuseppe Vesuviano Angelo Prisco e la coetanea grossetana, originaria però di Pompei, Consiglia Esposito. I primi tre sono indagati per favoreggiamento dell’immigrazione illegale, sostituzione di persona e falsità materiale per aver, secondo l’accusa, «al fine di determinare il rilascio del visto di ingresso nei confronti di 16 extracomunitari (di cui 14 provenienti dal Bangladesh e due dall’India) – si legge negli atti – falsificato le istanze di regolarizzazione dei lavoratori e facendole apparire come fintamente presentate dalla società Ornellaia e Masseto trasmettendole alla prefettura», inducendola «in errore sostituendo illegittimamente la propria persona a quella di un rappresentante dell’azienda e contraffacendo la sua carta di identità». Prisco ed Esposito, invece, sono coinvolti nel favoreggiamento dell’immigrazione illegale e nella falsità per aver «falsificato le istanze di regolarizzazione di 25 lavoratori (di cui 23 provenienti dal Bangladesh, uno dall’Egitto e uno dall’India) facendole apparire come falsamente presentate dall’agricola Chiappini».

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