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Il commento

Livorno e i bermuda vietati in classe, la pedagogista: regole ok, ma a una condizione

di Alessia La Villa

	La pedagogista e due studenti in bermuda
La pedagogista e due studenti in bermuda

Agli insegnanti consiglio di farsi portatori di un pensiero condiviso con la dirigenza, evitando messaggi ambigui e cercando al contrario un’alleanza educativa con i genitori.

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Alessia La Villa, pedagogista specializzata in Psicologia dell'adolescenza e mediazione familiare, commenta il caso degli alunni esclusi dalla classe perché non rispettosi del “dress code”.


Il caso degli alunni dell’istituto nautico “Cappellini” di Livorno ai quali pochi giorni fa è stato vietato l’ingresso all’interno della scuola perché non avrebbero indossato un abbigliamento “decoroso” solleva una serie di importanti considerazioni sotto il profilo educativo e pedagogico.

Innanzitutto il tema delle capacità di saper accettare le regole e non mi riferisco soltanto ai ragazzi. La dirigenza scolastica deve essere infatti assolutamente libera di poter dare un indirizzo al proprio istituto anche sotto il profilo dell’abbigliamento che ritiene opportuno far indossare agli studenti. Appare importante tuttavia che queste indicazioni, per non perdere di efficacia, siano condivise chiaramente tra corpo docente, famiglie e studenti e che le finalità delle stesse siano chiaramente motivate e non appaiano vaghe e fumose. Pur rispettando il sentire e la diversità di ognuno è necessario infatti che tutti i soggetti coinvolti, nella diversità dei loro ruoli, comprendano come entrare a far parte di un’istituzione, come appunto quella scolastica, comporti anche la necessità di adeguarsi ad un determinato stile e a determinate regole.

La parola “decoro” che sembra appartenere a un’epoca lontana dalla nostra è invece un ancoraggio importante alla realtà e richiama a sua volta parole come rispetto, dignità ed eleganza. Veicolare invece l’idea che in nome di una non meglio definita libertà si possa pensare di fare ciò che si vuole, in questo caso vestirsi come si vuole, è un passaggio pericoloso soprattutto se rivolto a preadolescenti e adolescenti che attraverso le regole si misurano con il concetto di limite, di rischio ma anche di contenimento. La scuola oggi più che mai, se vuole essere davvero educativa e non occuparsi solo di un generico trasferimento di nozioni, deve saper diventare fertile palestra di scambio e confronto, su tutta una serie di tematiche comprese quelle dell’abbigliamento, mantenendo tuttavia dei punti fermi. Da pedagogista condivido dunque che in un ambito come quello scolastico vengano definite delle chiare linee guida capaci di orientare gli studenti anche per il futuro che dovranno affrontare.

Vi siete mai chiesti perché quando entriamo all’interno di una banca non veniamo accolti da un direttore in bermuda e infradito e, al contrario, se ci troviamo in uno stabilimento balneare il cameriere non si presenta con giacca e scarpe di vernice? Ogni luogo necessita di un abbigliamento che, senza eccessivi formalismi e rigidità, sia però espressione di ciò che rappresenta. Agli insegnanti consiglio dunque di farsi portatori di un pensiero condiviso con la dirigenza, evitando messaggi ambigui e cercando al contrario un’alleanza educativa con i genitori. Ai ragazzi di comprendere che non sempre ciò che vorremmo fare è ciò che possiamo fare e che spesso la bellezza è proprio arrivare a casa e svestirsi materialmente e metaforicamente dei panni di studente per poter vivere, stavolta si in totale libertà, ciò che desideriamo essere.


 

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