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Paziente morì, infermiera indagata: «La morfina non causò il decesso»

di Pierluigi Sposato
Porto Ercole, qui abitava l’uomo deceduto nel 2020
Porto Ercole, qui abitava l’uomo deceduto nel 2020

I periti hanno dato risposte ai quesiti sugli ultimi giorni di un 76enne

27 settembre 2022
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PORTO ERCOLE. Il collegio dei periti è stato chiaro: «Non è stimabile, neppure in termini probabilistici, che la dose di morfina somministrata al signor Franco Casetta il 19 novembre 2020 sia stata causa o concausa del decesso di quest’ultimo». È una delle risposte che il professor Paolo Romagnoli, il dottor Francesco Ruffa e la dottoressa Laura Doni hanno fornito ai quesiti formulati dal giudice Sergio Compagnucci in merito alle possibili responsabilità dell’infermiera Franca Giorgini, indagata per l’ipotesi di omicidio colposo. Aveva somministrato dosi di morfina al paziente, nell’abitazione di lui. In maniera massiccia, dieci volte tanto, secondo la denuncia presentata all’epoca, come se l’uomo fosse andato in overdose. In fase non terminale, anzi con paziente lucido, sempre secondo la famiglia.

La Procura aveva chiesto l’archiviazione dichiarando di non poter sostenere il nesso causale, anche perché l’uomo era stato cremato; sulla stessa linea l’avvocato dell’infermiera, Riccardo Lottini; la famiglia di Casetta – morto all’età di 76 anni – si era opposta, con le avvocate Beatrice Spinosa e Anna Poggioli; nel febbraio scorso il giudice aveva deciso di far eseguire nuovi accertamenti. E adesso è arrivato il responso, che ieri avrebbe dovuto essere oggetto di discussione con udienza rinviata però a novembre. Dunque non vi sarebbe nesso tra la somministrazione della morfina e la morte dell’uomo. Inoltre, dicono i tre esperti sempre rispondendo ai quesiti del gip, «il comportamento del personale del servizio 118 nei suoi tre interventi a favore del signor Casetta nei giorni 19 e 20 novembre 2020 è da stimare corretto e adeguato alle condizioni del paziente quali risultano dalle relazioni del medesimo servizio», nonché dalle annotazioni nel diario clinico, anche se sarebbe stato meglio idratare il paziente il 19 e la mattina del 20, prima della prescrizione del 118 delle 12,31. Non vi sarebbe stato alcun effetto negativo né per infarti né per dolore o sofferenza. E comunque «non si ha prova che la mancata idratazione del paziente dopo la sospensione farmaceutica abbia concorso a determinare il decesso».

Il collegio di periti ha preso in esame tutta la documentazione che è stata allegata al fascicolo di indagine, sia quella clinica sia quella raccolta dai carabinieri. Hanno ricostruito minuziosamente le condizioni di salute dell’uomo, ammalato da tempo, e tutte le azioni che vennero eseguite in quei giorni dal personale che lo aveva assistito. Ha svolto gli accertamenti insieme ai consulenti nominati dall’indagata, Franchi e Bertol, mentre l’avvocata Poggioli ha sollecitato, come poi è avvenuto, l’acquisizione della documentazione del 118 mancante. E sulla base di tutto ciò i periti incaricati dal gip hanno concluso che l’uomo era, il 18 novembre (giorno di prescrizione della morfina), in fase terminale ma non era mai stato in overdose. «Le considerazioni oncologiche portano a stimare che la sopravvivenza del signor Casetta fosse precaria e che il decesso fosse prossimo». «Risulta che il dosaggio di morfina effettivamente somministrato (anche grazie al tempestivo intervento della figlia per l'interruzione della infusione) non era idoneo a provocare overdose e morte del paziente». A novembre la decisione del giudice.




 

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