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La scoperta

Firenze, le mura di Dante fermano il tram: «Quattro mesi di stop al cantiere»

di Mario Neri
Il cantiere e gli scavi
Il cantiere e gli scavi

L’antica cinta duecentesca ritrovata durante gli scavi per la linea 3.2.1. Il cronoprogramma: «È il tempo necessario per rivedere il progetto e far costruire le tubazioni idriche in Polonia»

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FIRENZE. Dante riemerge dal sottosuolo e ferma il tram. Succede in piazza Beccaria, dove la terza cerchia delle mura cittadine – quelle costruite tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, quando il poeta era un giovane fiorentino inquieto, tormentato dal Dolce Stil Novo e dal ghosting di Beatrice – è tornata a farsi vedere proprio nel punto sbagliato, nel momento peggiore, dentro uno dei cantieri più delicati e simbolici della città: la tramvia per Bagno a Ripoli.

Tre o quattro mesi di stop. Non una stima scolpita nella pietra, ma abbastanza solida da far tremare il cronoprogramma di un’opera che, fino a ieri, procedeva con una regolarità quasi svizzera. Cantieri rapidi, avanzamenti visibili, meno polemiche del previsto. Poi, come spesso accade a Firenze, il passato ha deciso di presentare il conto.

Il problema non è tanto il ritrovamento in sé – in una città costruita a strati, scavare senza trovare nulla è l’eccezione –, quanto il nodo tecnico che ne deriva. Quelle mura “dantesche”, come già vengono chiamate, interferiscono con il passaggio dei sottoservizi, in particolare con le condotte idriche di Publiacqua. E i tubi, si sa, non hanno grande sensibilità letteraria. L’assessore alla mobilità Andrea Giorgio lo dice senza giri di parole: «È il tempo necessario per riformulare il progetto dei sottoservizi». Traduzione: bisogna ripensare i percorsi, studiare una variante, trovare una soluzione che tenga insieme tutela archeologica e continuità dei lavori. Un esercizio di equilibrismo amministrativo che, inevitabilmente, costa tempo. E il tempo, in questo caso, è la risorsa più scarsa. «Non solo, è il tempo che serve anche per far produrre i tubi necessari a modificare il percorso dell’acqua in sotterranea, e quei tubi devono arrivare dalla Polonia», aggiunge Giorgio.

Senza contare che la soprintendente Antonella Ranaldi ha messo subito dei paletti netti. Niente operazioni chirurgiche per estrarre un pezzo di muro e portarlo in museo, come avvenuto in altri casi recenti. Niente teche iper-resistenti sotto i binari, niente archeologia a vista per tram che sfrecciano sopra la storia. Le mura vanno studiate, documentate, classificate. Poi ricoperte. Asfalto e cemento, di nuovo. Fine del romanticismo. Una scelta che ha una sua logica tecnica, ma che alimenta l’inevitabile paradosso fiorentino: ci si ferma mesi per salvare qualcosa che, alla fine, nessuno vedrà più. E intanto il cantiere si blocca, le ditte aspettano, il cronoprogramma si allunga come una fisarmonica.

Il punto politico, però, sta tutto altrove. La linea 3.2.1 della tramvia, quella che da piazza della Libertà deve arrivare a Bagno a Ripoli, non è una semplice infrastruttura cittadina. È un’opera Pnrr. E il Pnrr non ammette indulgenze culturali: entro fine 2026 tutto deve essere concluso, collaudato, funzionante. Pena la perdita dei finanziamenti. Un semaforo rosso che nessuno, a Palazzo Vecchio, può permettersi di ignorare.

La sindaca Sara Funaro lo ha ribadito con tono fermo: «Siamo al lavoro per trovare soluzioni nel tempo più rapido e snello possibile. Non possiamo permetterci che i lavori vengano interrotti». La priorità è chiara, quasi brutale nella sua linearità: il tram deve arrivare in fondo, costi quel che costi, ovviamente «con tutte le tutele del caso». Formula elastica. Sul tavolo c’è l’ipotesi di una conduttura dell’acqua “ad hoc”, un percorso deviato che aggiri i reperti. Un’operazione complessa, fuori standard, che richiede materiali specifici e lavorazioni su misura. Facile a dirsi, molto meno a farsi. E ogni giorno che passa senza una soluzione definitiva è un giorno che pesa come piombo sul calendario.

Intanto in piazza Beccaria i fiorentini si fermano a guardare. Qualcuno fotografa, qualcuno scuote la testa. «Che senso ha fermarsi per tutelare un reperto che poi verrà ricoperto?», si sente mormorare. È la domanda che riassume, meglio di mille convegni, l’eterno conflitto tra la Firenze che vuole correre e quella che non riesce mai a staccarsi davvero dal proprio passato nel sottosuolo, anche se poi il passato disegnato nel mondo di sopra lo sfregia (citofonare al Cubo Nero).

Dante, dal sottosuolo (o dal suo Paradiso, chissà), osserva. E forse sorride amaro. Perché anche sette secoli dopo, a Firenze, il cammino resta sempre una selva oscura. E la diritta via, spesso, passa proprio sopra le mura.

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