La Pergola retrocessa, Firenze ricorre al Tar contro il ministero: «Un attacco alla nostra storia»
La sindaca Funaro guida la battaglia legale: “Decisione illegittima, non un giudizio tecnico”. In gioco non solo i fondi ma il prestigio di un’istituzione secolare
FIRENZE. Un teatro può perdere fondi ma non memoria, può scendere di categoria ma non di prestigio. È con questa contraddizione solo apparente che la Pergola di Firenze affronta il suo destino: il ministero della Cultura l’ha retrocessa, Palazzo Vecchio la porta davanti al Tar del Lazio. Non è soltanto una difesa amministrativa, è la rivendicazione di una storia secolare che non vuole piegarsi al linguaggio delle graduatorie.
La sindaca Sara Funaro, presidente della Fondazione Teatro della Toscana, ha depositato un ricorso che smonta pezzo per pezzo le motivazioni ministeriali. La Commissione consultiva, si legge, ha dichiarato «non valutabile» il progetto triennale 2025-2027 e ha negato qualsiasi punteggio sulla qualità artistica. Una decisione che contraddice il decreto 463/2024, il quale impone l’uso del voto numerico come parametro imprescindibile. Qui nasce l’accusa di illegittimità: il declassamento non sarebbe una scelta tecnica, ma un atto privo di fondamento. «Le motivazioni addotte dalla Commissione sono totalmente pretestuose, non supportate né sul piano tecnico né su quello artistico – spiega Funaro –. È un attacco senza precedenti a un’istituzione come il Teatro della Toscana e alla sua direzione artistica. Noi continueremo a sostenerlo perché resta un’eccellenza e i fiorentini lo sanno».
Il ricorso contesta inoltre la presunta «genericità» delle produzioni 2026 e 2027. La normativa, però, obbliga le Fondazioni a presentare solo il piano dettagliato del primo anno e un progetto triennale di indirizzo: i programmi successivi devono arrivare entro il 31 gennaio dei rispettivi anni. Pretendere dettagli immediati per il 2026 e il 2027 equivale, sostiene Firenze, a stravolgere le regole del gioco. Non solo: la Commissione avrebbe oltrepassato i propri limiti, valutando la sostenibilità economica del progetto, campo riservato ad altre sedi.
Un altro punto dolente è la mancata considerazione delle sette schede artistiche della stagione 2025, predisposte in modo capillare e obbligatorio. Quelle carte raccontavano la qualità e la varietà delle produzioni, ma la Commissione non le ha neppure sfogliate. Ancora più clamoroso, agli occhi dei legali della Pergola, il giudizio sospeso sulla direzione artistica di Stefano Massini: un autore tradotto in tutto il mondo, premiato e riconosciuto perfino dal ministro Alessandro Giuli («Un bene Unesco», l’ha definito), ora liquidato come se la sua firma non avesse peso.
Il paradosso si fa parossismo punitivo perché lo stesso Ministero aveva in due occasioni corretto la Commissione, chiedendo un voto numerico e ammonendo sul divieto di valutazioni economiche. Richiami caduti nel vuoto. Eppure, al momento della decisione finale, l’amministrazione ha recepito senza filtro le conclusioni dell’organo consultivo. Neppure la successiva istanza di riesame ha trovato ascolto: il 29 luglio la Commissione ha prodotto un semplice atto confermativo, senza nuova istruttoria, contro lo spirito stesso della norma che prevede un riesame sostanziale.
La Fondazione ha chiesto anche la sospensione cautelare degli atti, sottolineando il danno non solo economico – 380mila euro in meno di contributi – ma soprattutto reputazionale. Perdere il titolo di Teatro Nazionale non significa solo rinunciare a risorse, ma subire un marchio negativo in termini di immagine e influenza. Una ferita che rischia di minare la missione culturale di un’istituzione nata per dare voce al teatro di ricerca.
Così la Pergola, teatro che ha visto passare i grandi della scena italiana, deve ora recitare un copione nuovo: difendere se stessa, la sua memoria e la sua eccellenza, contro una burocrazia che, per Firenze, ha scambiato il diritto per un pregiudizio. La tecnica con la politica, o peggio la propaganda.