Castiglioncello, medico muore pochi mesi dopo la pensione: «Era sempre al fianco dei pazienti»
Appassionato di musica e di scrittura, aveva 69 anni. A luglio doveva andare con la moglie nel Montana: il viaggio dei sogni
ROSIGNANO. Nella bara aveva indosso il suo cappello e gli immancabili stivali. Una delle sue passioni più grandi, quella per gli Stati Uniti, per i paesi del vecchio West. Sarebbe dovuto andare con la moglie in viaggio il prossimo luglio, un percorso alla scoperta del Montana, a conoscere quei luoghi che ha sempre studiato e che tanto, diceva, lo rappresentassero. E per questo la famiglia ha deciso di “lasciarlo andare” con un bagaglio che rappresentava i suoi sogni.
La chiesa di Castiglioncello era gremita ieri, 27 dicembre, per l’ultimo saluto a Massimo Immorali, medico di medicina generale, che si è spento il giorno di Santo Stefano nel reparto cure palliative dell’ospedale di Livorno dove era ricoverato da qualche settimana. Immorali aveva 69 anni – ne avrebbe compiuti 70 il prossimo 8 febbraio – e dall’inizio dell’estate era andato in pensione, dopo 45 anni trascorsi al fianco dei suoi pazienti. Una vita, la sua, spesa nell’assistenza ai malati.
Dopo la laurea all’Università di Pisa e le esperienze nella guardia medica e turistica, Immorali è stato medico di base prima e Cecina e poi a Rosignano dove aveva tantissimi mutuati. Un medico alla vecchia maniera, sempre pronto ad ascoltare chi aveva bisogno di cure e preciso nel seguire i suoi pazienti, mosso da un profondo senso di giustizia che perseguiva in ogni suo comportamenti. «Era uno di quei medici sempre disponibili, a tutte le ore. Mai che guardasse l’orologio», raccontano i suoi pazienti che in tanti sono andati, ieri, in chiesa per il funerale officiato da don Matteo Seu. In una prima fase della carriera aveva lavorato nello studio di viale della Repubblica, poi si era stabilito nella zona prospiciente la farmacia Nuova davanti alla Coop sulla statale Aurelia. Da qualche mese era stato colpito da una grave malattia ed ha affrontato la sfida con grande coraggio e determinazione.
Era sposato con Flavia Maoli, anche lei medico, che al momento del pensionamento aveva dedicato al marito un saluto emozionante, soprattutto rileggendolo oggi nella consapevolezza che quella pensione il dottor Immorali se l’è potuta godere per troppo poco tempo. «Hai lasciato – aveva scritto la moglie nella dedica – un’impronta profonda nel cuore di chi ha avuto la fortuna di conoscerti. La tua competenza è stato un faro, la tua presenza una certezza».
«Era medico da quando aveva 5 anni» , lo ha descritto ieri la moglie mentre dopo il funerale si trovava in compagnia del figlio Michele e del nipote. «Ha sempre saputo che avrebbe fatto il medico fin da bambino: aveva l’occhio clinico, gli bastavano due parole per capire come avrebbe dovuto muoversi». Era appassionato anche se «negli ultimi anni il lavoro era diventato sempre più una pratica amministrativa» e «lui ci si arrabbiava molto».
Riservato nei modi, Immorali aveva una vita piena, ricca di tante passioni: amava scrivere, la musica e il poligono di tiro. Era diplomato al conservatorio in chitarra classica, aveva pubblicato la parafrasi della Divina Commedia (il ricavato era stato donato al telefono Azzurro Rosa), amava le lettere classiche e il tiro al poligono.
«Tirava con la carabina – dice la moglie – anche da duemila metri. Ho l’ultimo bersaglio nel bagagliaio dell’auto: tutti i colpi al centro. Si è sentito male otto giorni dopo». Flavia Maoli riesce a raccontare sua marito con grande serenità. «È stato lui, negli ultimi 28 giorni ad abituarci ad affrontare il fatto che se ne sarebbe andato. Aveva una grande fede che l’ha accompagnato negli ultimi venti anni di vita e quando si è reso conto che non sarebbe tornato a casa. Noi sappiamo che lui è andato in un luogo dove si sta bene. Sappiamo che, ovviamente con il dolore naturali che sentiamo, dobbiamo vivere con serenità e nella fede la sua morte». «Con Massimo – racconta il medico Paolo Piram, coordinatore del distretto fino al 2019 – ci conoscevamo dal 1982. Avevamo lavorato insieme a Ponte Ginori, dove io facevo la guardia medica. Per un certo periodo, qualche anno, siamo stati anche nello stesso ambulatorio. Si condivideva la passione per la professione e capitava di andare a cena allo Scoglietto per condividere impressioni e interpretazioni della professione».
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