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Economia e lavoro

In 10 anni in Toscana sparito un quarto degli artigiani: «A breve trovare idraulici, fabbri e falegnami sarà un’impresa»

di Francesco Paletti

	In Toscana in 10 anni sono "scomparsi" oltre 35mila artigiani (foto di repertorio)
In Toscana in 10 anni sono "scomparsi" oltre 35mila artigiani (foto di repertorio)

Nella regione sono “scomparsi” 36.275 artigiani, più degli abitanti di Piombino. L’allarme della Cgia di Mestre

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Una vera e propria emorragia. Neppure troppo lenta. E il rischio, serio e reale, è che la figura dell’artigiano (l’idraulico piuttosto che l’elettricista o il ceramista solo per fare alcuni esempi), sia destinata a diventare una “specie” in via d’estinzione.

L’emorragia

I dati di fonte Inps, analizzati e approfonditi nel report diffuso due giorni fa dalla Cgia di Mestre, lasciano poco spazio alle interpretazioni. Anche per quanto riguarda la Toscana. Nel Granducato, infatti, in dieci anni sono “scomparsi” 36.275 artigiani. Più degli abitanti di Pontedera o di Piombino, tanto per dare un’ordine di grandezza: nel 2014, infatti, erano più di 150mila; un decennio dopo (alla fine del 2024), sono scesi a 114.381, il 24,1% in meno. Vuol dire che in questo lasso di tempo circa un artigiano su quattro ha lasciato l’attività, certo anche a per gli effetti delle crisi che si sono succedute negli anni, ma soprattutto per «l’invecchiamento progressivo della popolazione che svolge questa professione, provocato in particolar modo da un insufficiente ricambio generazionale – scrivono i ricercatori della Cgia di Mestre – , unito alla feroce concorrenza esercitata nei decenni scorsi dalla grande distribuzione e in tempi più recenti dal commercio elettronico, al peso della burocrazia, al boom del costo degli affitti e alla pressione fiscale, che hanno costretto molti ad alzare bandiera bianca». E all’orizzonte non c’è alcun segnale di controtendenza. Anzi, l’emorragia è proseguita anche nel 2024: rispetto all’anno precedente la Toscana ha fatto segnare un ulteriore calo del -4,7%, che in valore assoluto corrisponde a 5.691 artigiani in meno. In termini percentuali la diminuzione più rilevante ha interessato la provincia di Prato che, con il -6,7% rispetto al 2023 (761 artigiani in meno in dodici mesi), si colloca al settimo posto della poco lusinghiera “top ten” nazionale subito dietro Reggio Emilia e davanti a Bologna. In valore assoluto, invece, l’impatto dell’emorragia è stato più pesante a Firenze che, in un anno, ha perso 1.605 professionisti del settore (-5%). Sulla costa, invece, il calo si è fatto sentire maggiormente a Pisa e Lucca (-4,6%), ma anche a Livorno (-4,5%, stessa diminuzione di Pistoia). La graduatoria regionale è completata da Arezzo e Siena (-4,1%), Massa Carrara (-4%) e Grosseto (-3,6%). Beninteso, il problema è nazionale e non solo toscano. In Italia, infatti, negli ultimi dieci anni, gli artigiani che hanno abbassato la saracinesca sono stati quasi 400mila: dal milione e 775mila del 2014, infatti, sono scesi al milione e 377mila del 2024 per una diminuzione del 22,4%. Pesantissima sicuramente, eppure un po’ meno marcata di quella del Granducato (24,1%). Pressapoco analogo, invece, il decremento negli ultimi dodici mesi: – 4,7% in Toscana e -5% a livello nazionale che, in un anno, ha visto “scomparire” quasi 72mila artigiani.

Professioni “svalutate”

Il futuro tratteggiato dal report della Cgia di Mestre è a dir poco preoccupante: «A seguito del progressivo invecchiamento della popolazione artigiana e la corrispondente contrazione dei giovani che si avvicinano a questi mestieri, anche per effetto del calo demografico, è molto probabile che entro un decennio reperire sul mercato un idraulico, un fabbro o un serramentista in grado di eseguire un intervento di riparazione o manutenzione a casa o nel luogo di lavoro sarà un’operazione difficilissima», scrivono i ricercatori. C’è un dato che, più di ogni altro, fotografa la situazione: in Italia ci sono circa 233mila avvocati e “solo” 165mila idraulici. I motivi? Molteplici. Ma è indubbio che «negli ultimi anni, tante professioni ad alta intensità manuale hanno subito una svalutazione culturale e questo processo ha allontanato molti ragazzi dal mondo dell’artigianato», sottolinea il report. Beninteso, le eccezioni ci sono: «I settori del benessere e dell’informatica, ad esempio, presentano dati in controtendenza – continuano i ricercatori –: nel primo, ad esempio, si continua a registrare un aumento di acconciatori, estetisti e tatuatori, mentre nel secondo settore sono in decisa espansione gli addetti al web marketing, i video maker e gli esperti in social media». Ma non basta per invertire la tendenza generale. Per provarci occorre ripartire dalle cause all’origine dell’emorragia che per la Cgia di Mestre sono chiaramente individuabili.

I motivi della crisi

Nell’elenco c’è, «lo scarso interesse che molti giovani hanno nei confronti del lavoro manuale» collegato «alla mancata programmazione formativa verificatasi in tante regioni del Paese e l’incapacità di migliorare la qualità dell’orientamento scolastico». Per questo motivo è necessario «rimettere al centro l’istruzione professionale che in passato è stata determinante nel favorire lo sviluppo economico del Paese, mentre oggi è percepita come una scuola di serie b, un parcheggio per i ragazzi che non hanno una grande predisposizione per lo studio o l’ultima chance per gli studenti reduci da insuccessi scolastici nei licei o nelle scuole tecniche. Così, nonostante le crisi e i problemi generali, non sono pochi gli imprenditori del settore che segnalano difficoltà a trovare personale». Poi servirebbero anche incentivi. La Cgia di Mestre, al riguardo, lancia una proposta: «Un reddito di gestione delle botteghe commerciali e artigiane per chi gestisce o apre un’attività nei centri con meno di 10mila abitanti».

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