Il caso
Assalto al portavalori in Toscana, chi è l’amico “pisano” che ha protetto la banda dei sardi
Si tratta di un uomo originario dell’isola ma residente da tempo a Castelnuovo Val di Cecina. Secondo gli inquirenti, avrebbe fornito un nascondiglio e contribuito a far sparire le tracce del colpo
NUORO. Chi ha aiutato i sardi in trasferta nella preparazione dell’assalto al portavalori sull’Aurelia a San Vincenzo e nelle fasi successive agli assalti? Si era detto sin dall’inizio che la banda doveva vere un appoggio in Toscana, probabilmente non distante dal luogo della rapina. Indispensabile, soprattutto quando la banda aveva sul collo il pressing degli investigatori, quando audio e video erano finiti all’attenzione degli inquirenti. Secondo loro, ad aiutare e proteggere i malviventi, è stato Antonio Moni, 46 anni, sardo come gli altri ma residente da molto tempo nell’entroterra pisano, a Castelnuovo Val di Cecina. Sarebbe stato lui a fornire supporto logistico alla banda, permettendo loro di occultare le due Volvo, fornendo rifugio la notte successiva all’assalto dei furgoni portavalori e impegnandosi per nascondere (dando fuoco ai mezzi) le tracce del reato.
L’operazione dei carabinieri
All'alba di lunedì 19 maggio dunque, a distanza di meno di due mesi dal colpo, l'operazione "Drago" dei carabinieri del nucleo investigativo de comando provinciale livornese, condotta sotto il coordinamento della Procura di Livorno, ha portato all'arresto di Moni e di altre 10 persone (tutti i nomi) nelle province di Nuoro, Pisa e Bologna, che sono finiti in carcere. Gli indagati, tutti sardi originari del Nuorese, sono accusati di rapina pluriaggravata, detenzione di armi da guerra ed esplosivi, furto e ricettazione. I destinatari del provvedimento sono di età compresa tra i 33 e i 54 anni e sono stati trasferiti in carcere. L'operazione ha visto mobilitati oltre 300 militari, tra cui i reparti speciali del Gis, Ros, Tuscania, Cacciatori di Sardegna e Sicilia, supportati da elicotteri e unità cinofile.
La banda
Secondo le indagini degli investigatori dell'Arma, i responsabili dell'assalto sono specialisti sardi delle rapine, pastori e coltivatori con precedenti per reati gravi, ma anche esperti nell'uso di armi da guerra. Erano arrivati sul continente con giorni di anticipo, sbarcando in porti diversi e simulando alibi: uno fingeva di acquistare un macchinario agricolo in Emilia, un altro si trovava teoricamente a una fiera in Umbria. Ma le telecamere, le intercettazioni e le indagini scientifiche hanno smentito tutto. Il gruppo operava con telefoni “burner”, attivi solo per i giorni dell'assalto, senza connessione internet, proprio per eludere i controlli. Alcuni veicoli usati nel colpo erano stati rubati mesi prima a Roma e Siena, utilizzati per bloccare il traffico e poi dati alle fiamme. In un rifugio nell'entroterra pisano, tra le ceneri ancora calde di un falò, gli investigatori hanno trovato i resti di uno dei telefoni “burner”, identico a quelli usati durante l'assalto.