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La sindaca toscana che vive nel terrore: «Un uomo vuole tagliarmi la gola, la mia salvezza sta dentro la borsetta»

di Cristiano Marcacci
La sindaca che vive nell'incubo dello stalker
La sindaca che vive nell'incubo dello stalker

Arianna Cecchini è la prima cittadina di Capannoli, in provincia di Pisa: «Vivo con la paura che il dispositivo anti-stalker suoni da un momento all’altro». L'incubo è iniziato dall'esecuzione di uno sfratto

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CAPANNOLI. In famiglia cercano di sdrammatizzare il più possibile, chiamandolo scherzosamente il “Tamagotchi”, dal nome del famoso gioco elettronico portatile giapponese. In realtà, si tratta di tutt’altro. È una sorta di piccolo telefono cellulare che in qualche caso può salvare delle vite. Tecnicamente, in gergo poliziesco, si chiama “GS4 Victim Tracking Unit” ed è un dispositivo che si mette a suonare se lo stalker, dotato precedentemente di braccialetto elettronico, si avvicina a meno di 500 metri dal luogo in cui si trova la sua vittima. «Mia figlia (dieci anni, ndr) ogni tanto me lo chiede: “Mamma, ma come suona quel cosino?”. Gli rispondo sempre che non lo voglio sapere ed è bene che non suoni». La mamma in questione è Arianna Cecchini, sindaca del Comune di Capannoli. Da un anno ha la vita, sua, dei suoi familiari e dei dipendenti del municipio, stravolta da una persona che ha cominciato a perseguitarla dopo essere stata sfrattata dall’abitazione di un privato al cui canone d’affitto contribuiva la stessa amministrazione comunale.

L'inizio dell'incubo

Tutto ha inizio nei primi giorni di novembre del 2023, quando alla famiglia composta da marito (di nazionalità albanese, invalido civile in seguito a un incidente), moglie (disoccupata), figlia minorenne e figlio maggiorenne (anch’egli disoccupato) viene tolta la casa in cui abitavano. «Il proprietario – racconta Cecchini – ebbe delle difficoltà economiche e aveva quindi la necessità di tornare in possesso dell’appartamento, per il quale il Comune aveva sempre elargito i soldi per l’affitto. Noi cercammo di rinviare il più possibile l’esecuzione dello sfratto, ma poi arrivò il giorno del quarto accesso e la famiglia dovette andarsene. Cercammo e trovammo una sistemazione alternativa in una struttura ricettiva della zona e, nel contempo, riuscimmo anche a trovare un lavoro alla moglie. Ma da parte dell’uomo non ci fu alcuna disponibilità ad accettare questi aiuti: l’alloggio nella struttura fu rifiutato e dopo pochi giorni la moglie cessò di presentarsi regolarmente al lavoro. Lui voleva una casa con l’affitto pagato, non voleva sapere di altro». La sindaca e l’amministrazione comunale entrarono sin da subito nel mirino dell’uomo, che cominciò a tenere comportamenti stalkerizzanti. Iniziò a presentarsi sotto le finestre del municipio con la musica a tutto volume in auto e offendendo e minacciando Cecchini e i dipendenti, un giorno fermò un gruppetto di giovani amici della famiglia della sindaca chiedendo chi fosse, tra di loro, «il figlio della Cecchini» («Per fortuna lui non c’era, non voglio nemmeno pensare a cosa sarebbe potuto succedere»), un’altra volta si fece notare nei paraggi dell’abitazione della stessa Cecchini chiedendo a una sua vicina quale fosse di preciso la casa della sindaca perché «La voglio ammazzare, le taglio la gola», disse alla concittadina, che ha poi testimoniato di fronte ai carabinieri.

Quei mesi "in prigione"

Appunto, entrano in scena i carabinieri. Ai quali la sindaca si rivolge per sporgere ufficialmente denuncia, dopo essersi consultata con la prefetta di Pisa, dottoressa Maria Luisa D’Alessandro. Quest’ultima arrivò addirittura a predisporre una scorta per Cecchini e i suoi familiari più stretti, degli agenti di polizia municipale entro i confini comunali e dei carabinieri fuori dal comune. «Ovviamente – aggiunge Cecchini – in quel periodo io, mio marito e i miei figli limitammo al massimo gli spostamenti. Ho vissuto dei mesi da reclusa. Un’esperienza dolorosissima per me, per la mia famiglia, per alcuni dipendenti comunali. Grazie al tempestivo intervento della prefetta siamo stati assistiti dalle forze dell'ordine per alcuni mesi, ma privati della libertà di muoversi liberamente. Ora, dopo un anno, in attesa della sentenza disposta dal giudice alcune settimane fa, sulla base della quale il persecutore è stato condannato a un anno per stalking, vivo monitorata 24 ore su 24 dalle forze dell'ordine, collegate con il braccialetto elettronico della persona che mi ha minacciata, che ha l'obbligo di non avvicinarsi». Per la verità, il divieto di avvicinamento esisteva anche prima, ma questo non impedì, la scorsa estate, all’uomo di presentarsi alla Fiera degli Uccelli, proprio sotto il palco dove si trovava in quel momento la sindaca, per riprendere a minacciarla e ad offenderla. Fu quell’episodio a far disporre per l’uomo l’aggravamento delle misure cautelari: sono quindi scattati gli arresti domiciliari (a Foggia, dove lo stalker si trova attualmente a casa di alcuni parenti) con l’obbligo del braccialetto elettronico.

La paura dello squillo

Ora per Cecchini c’è l’incubo quotidiano che quel dispositivo che tiene sempre nella borsetta possa squillare e illuminarsi di rosso da un momento all’altro. «Non passa giorno – dice Cecchini – che non pensi a tutte quelle donne che subiscono minacce e violenze, magari dall'uomo con cui continuano a vivere, anche molto più gravi di quelle da me subite e denunciate. Penso al coraggio che hanno ad uscire dal tunnel dello stalking, penso alla solitudine a cui sono sottoposte. Quando denunci sai di fare la cosa giusta ma allo stesso tempo ti senti disorientata. Da quel momento diventi vittima due volte: dopo le minacce e le violenze sei vittima dei giudizi, vittima della burocrazia e delle leggi, che purtroppo non sono sufficienti a farti sentire al sicuro e a garantire la tua incolumità, nel mio caso addirittura vittima di speculazioni politiche». Il riferimento è all’ultima campagna elettorale per le amministrative, quando gli avversari politici di Cecchini, a cui tolse l’appoggio pure il suo partito, il Pd, arrivarono anche a distribuire volantini con la foto dell’auto in cui diceva di dormire il cittadino sfrattato che nel frattempo si era già trasformato in pericoloso stalker. «Per fortuna – conclude la sindaca – la comunità ha sempre capito tutto dall’inizio e i cittadini sono arrivati anche a farmi da “scudo”. Mi chiamavano quando lo vedevano in certi luoghi, segnalandomi la presenza affinché fossi io a non avvicinarmi rischiando in questo modo per la mia incolumità».

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