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Se un chilo di carote costa meno di un sms l’agricoltura scompare


	Enzo Brogi (a destra)
Enzo Brogi (a destra)

I rischi dell’abbandono dei campi

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Ecco le riflessioni dei lettori pubblicate sull’edizione cartacea di domenica 30 giugno, nella pagina dedicata al filo diretto con il direttore de Il Tirreno, Cristiano Marcacci. “Dillo al direttore” è l’iniziativa che permette alle persone di dialogare direttamente con Cristiano Marcacci, attraverso il canale WhatsApp (366 6612379) e l’indirizzo mail dilloaldirettore@iltirreno.it.

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di Enzo Brogi 

Da bambino sognavo da grande di guidare la locomotiva e Riccardo, il mio amico vicino di casa, voleva fare il comunista. Sì, era forte il richiamo ai mestieri dei rispettivi babbi: ferroviere il mio, sindacalista il suo. Sabato mattina nella piazza del mio paese c’erano bambini alla gelateria del ponte e se la godevano. Mi sono divertito a chiedere cosa vorrebbero fare da grandi: cantante, informatico, influencer, calciatore, medico… Nessuno mi ha parlato di agricoltura, neppure semplicemente di produrre vino o olio, nonostante attorno a noi vigneti e oliveti non manchino, anzi, sono il paesaggio.

Questa tendenza riflette una realtà preoccupante: l’agricoltura non è attrattiva e l’età media dei lavoratori agricoli in Italia è molto alta. Al contrario, in paesi come Francia e Germania, le persone di 35 anni che lavorano la terra superano quelle sopra i 65. Così nel futuro non avremo più lavoratori agricoli nativi. Con conseguente perdita di territorio protetto e salvaguardato, erosione di cultura e competenze professionali, crescita di sfruttamento, caporalato e infiltrazioni malavitose. A peggiorare ulteriormente il quadro è quanto ci racconta spesso Slow Food: un chilo di carote all’ingrosso si vende attorno ai 10 centesimi, meno del costo di un sms o di una caramella. Questo prezzo è insostenibile e drammatico. Per non dire dell’erosione della biodiversità, della prepotenza dei mercati finanziari mondiali, della privatizzazione delle sementi, delle conseguenze dei mutamenti climatici: è l’agricoltura contadina che sta scomparendo.

La situazione in Toscana non è diversa. Nonostante alcune aree di sviluppo e interesse, il settore agricolo è in crisi. I dati sono sconfortanti: coltivare un ettaro di grano costa 1.000 euro, ma la vendita frutta solo poco più della metà. Medesima incongruenza per la filiera dell’olio; il produttore di latte riceve 50 centesimi al litro, mentre al consumo viene venduto a quasi 2 euro. È uno scandalo: spesso i costi di produzione superano i ricavi. Non c’è verso, così le campagne continueranno a spopolarsi ed i ragazzi preferiranno da grandi fare altre cose. È il momento di invertire queste tendenze economiche e culturali. Il lavoratore agricolo – il contadino contemporaneo – deve essere premiato, incoraggiato e protetto. La cura della terra stia in cima alle agende politiche e alla sensibilità dei cittadini e dei movimenti sociali.

E ricordiamoci anche che questo grande problema ha natura culturale e storica: l’abbandono delle terre negli anni Sessanta per inseguire il sogno del salario mensile e delle otto ore lavorative, percependo la fabbrica come più “nobile” rispetto alla “rozzezza” del lavoro nei campi. Questa mentalità si è radicata nel nostro Dna e in quello dei nostri figli. Vorrei una Toscana, terra di bellezze e d’ingegno rurale, che scommetta su un nuovo Rinascimento agricolo, che dia ai giovani il piacere e l’orgoglio di produrre qualità, offrendo un futuro sostenibile per le nostre campagne e per le generazioni future.

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