Il Tirreno

A tavola con noi

Nobile 2020 della Talosa la fedeltà a tutto gusto, a Montepulciano gusto e cultura in un mix antico

di Antonio Paolini (*)
La tomba etrusca di Talosa e una bottiglia del famoso vino
La tomba etrusca di Talosa e una bottiglia del famoso vino

Annata da ricordare per il Docg, una gamma che include Riserva Chiusino e Filai Lunghi. Alboreto, volto attualissimo di una storia lunga e gloriosa: il 2020 decorato con 5 stelle

3 MINUTI DI LETTURA





Ci sono luoghi (e produttori) di cui non ci si stanca di raccontare. E di cui è bene ogni tanto riprendere in mano il fili della storia. Tanto più se è una storia ricca e profonda come quella di Montepulciano (il luogo) e della Talosa (l’azienda) con identità, gusto e cultura in un mix non facilmente replicabile.

È datato 1500 il palazzo del centro storico (in Piazza Grande: più di così…) della città delle Torri sotto il quale, scendendo in un percorso che è un viaggio nel tempo, sono visitabili le bottaie, i “sancta” e gli spazi di lavoro e accoglienza (che qui è una religione, praticata a tutto tondo, sosta inclusa) . Ma risale a mille anni prima, addirittura la tomba etrusca culmine del tragitto e custodita anch’essa lì.

A gestire la casa e i 33 ettari di vigneto di “vera” collina (quota media poco sotto 400) è da oltre mezzo secolo la famiglia (con i relativi mix generazionali, ora alla terza fase) dell’imprenditore romano Angelo Jacorossi. Ovviamente, non è sotto i palazzi Sinatti e Tarugi che si fa il vino. Due le cantine “tecniche”, a Pietrose, una per la vinificazione e una con barricaia, stoccaggi e uffici. In centro storico… i vini crescono. Nelle botti grandi di taglia e d’imprinting storico anch’esse (le più mature hanno poco meno dell’impresa di cui sono parte) . Ed è qui, quindi, la “casa” del Nobile, corona della gamma. Che però annovera più di una gemma. La Talosa articola i suoi Nobile in rapporto a vigneti di provenienza, mix e attitudine delle uve relative. Ecco allora l’esclusivo Vigna Chiusino, acciaio per partire, tonneau non nuovi per crescere in due anni di sosta più uno in vetro; il Filai Lunghi, legni di pari stazza e per ugual durata, ma nuovi; e il “tetto” della Riserva, divisa tra acciaio e legno fin dalle fasi fermentative, e poi tra tonneau intonsi, botti grandi e saldo in inox, con blend dopo tre anni e debutto dopo altri mesi in vetro. Ma l’anima “nobile” forse più direttamente eloquente, parlante al maggior numero di fan o solo di “deb” dell’enomondo, è l’Alboreto. Ancora acciaio (in tini troncoconici) per il lavoro coi lieviti per due-tre settimane. Poi tonneau variamente usati (fino al quarto passaggio), massa in botte grande e ancora acciaio prima del riposo ulteriore una volta imbottigliato. L’annata 2020 è di quelle decorate con 5 stelle (il top) e, di più, nel ridotto novero che la “vox populi” locale ritiene eccezionale. L’Alboreto ribadisce, con un filone sensoriale fruttato, caldo, ricco e profondo, eloquente appena “aperto” nel calice e chiuso su note più scure, ma sempre accoglienti. La quota tattile – i tannini – è quella di un ragazzo brillante, dal certo (e lungo) avvenire e dal presente già pienamente coinvolgente. Vero specchio di una versione contemporanea, e insieme fedele, della denominazione.

* giornalista e critico enogastronomico
 

Toscana al voto
Politica

Elezioni in Toscana, esclusa ufficialmente la lista civica di Tomasi a Pistoia