L’allarme
Gianluigi Buffon e il suo libro: un idolo che non ti aspetti, il primo stipendio e il “legame” con N’Kono
A Peccioli tantissima gente per il campione: «Dicono che siamo mercenari, ma io sono sceso in B con la Juve
PECCIOLI. “Cadere, rialzarsi, cadere, rialzarsi” (Mondadori Editore) è il titolo dell’autobiografia, uscita il 19 novembre, di Gianluigi Buffon, il portiere più forte di sempre e simbolo della Juventus, del Parma e della Nazionale. Quella frase che diventa quasi un mantra, perché se è normale e scontato cadere e rialzarsi per un portiere, quest’azione diventa più complessa quando la vita offre traiettorie particolari e inattese, un po’ come quei palloni usati ai mondiali che facevano storcere il naso a tanti estremi difensori perché imprevedibili e indecifrabili.
L’ex capitano della Juventus, del Parma e della nazionale ieri sera, sabato 7 dicembre, ha presentato la sua opera alla Galleria dei Giganti a Peccioli, all’interno del cartellone degli eventi di “A Natale libri per te”, l’iniziativa voluta da Fondazione Peccioliper, Comune di Peccioli e sostenuta da Belvedere spa. Buffon si è prestato alle domande del vicedirettore de Il Post (testata online che collabora con l’evento) Francesco Costa: «Non volevo scrivere una cronistoria della mia carriera - ha esordito - perché questa è già visibile su molti canali. Mentre invece son sempre stato un appassionato del dietro le quinte, del sapere cosa si cela dietro il successo di una persona».
Il libro che è anche un bilancio di una carriera e di una vita: «Quando fai i conti con te stesso a 46 anni è diverso se lo fai a 30 o 25, hai occhi diversi per le tue scelte ed esperienze. Però devo dire che non rinnego niente, nemmeno i miei errori. Se ho sbagliato in quel momento è forse perché in quel frangente dovevo farlo e mi serviva per migliorare. Cadere e rialzarsi è una metafora della vita di uno di noi: tutti, anche i grandi miti, sono persone normali. Poi ci sono dei momenti che ti fanno emergere ma ognuno di noi passa dal cadere e dal rialzarsi, fino all'ultimo dei nostri giorni. Questo è ciò che mi ha insegnato la vita: a volte anche la sconfitta ti aiuta, perché ti fa salire quella voglia di rivalsa per superare il limite».
L’autobiografia nasce con lo scopo di far conoscere l’uomo Gianluigi prima del mito Buffon: a cominciare da quei tuffi nella neve a 4 anni in Friuli, a casa della nonna, che il campione del mondo 2006 ha ritrovato utili molto tempo dopo in un delicatissimo spareggio in Russia per andare ai Mondiali del 1998. «Il portiere - continua Buffon - è un ruolo un po’ più masochista, perché è l’unico che può solo difendere e mai offendere. Il tuo sacrificarti è in funzione del risultato comune: nessun portiere sarà mai felice di perdere 1-0 parando tre rigori».
La Juve si palesa nel destino di Buffon sin da subito, a cominciare dall’ammirazione per Dino Zoff e per Paolo Rossi, eroi del Mundial. Senza dimenticare quel Gianluca Vialli di cui ha ereditato il posto come capo delegazione della nazionale e di cui a otto anni – nel 1986 – rimane folgorato. Ma se innamorarsi calcisticamente di Vialli era una situazione condivisa con tantissime persone, farlo di Blaz Siskovic era qualcosa di decisamente più raro: Siskovic – da classico centrocampista dei Balcani – era tutto estro e giocate imprevedibili nel Pescara di Galeone. Ammirando quella squadra un po’ folle che non aveva paura di pressare alta l’Inter, Buffon sceglie definitamente i guanti, perché fare il portiere è di fatto tutto un equilibrio sopra la follia: poi arriveranno le giovanili del Parma, il primo stipendio (200.000 lire), il debutto in prima squadra contro il Milan di Weah e una carriera che lo ha piantato con tutte le radici sull’Olimpo degli dei della porta.
Buffon prova a sfatare un luogo comune: «I calciatori son mercenari, così dicono tutti. Andare in serie B con la Juve era la giusta occasione per dimostrare che non era così. Fu una grande rinuncia, però io sapevo che se avessi preso un’altra strada più comoda non sarei stato io. Quella scelta mi ha dato le energie per arrivare a giocare fino a 45 anni». Ma Buffon non è stato solo traguardi e vittorie ma anche dolori: la lotta con la depressione combattuta evitando le medicine ma coltivando altri interessi, come la pittura. Errori, scelte sbagliate e momenti difficili che il capo delegazione non nega ma ripercorre a cuore aperto in questo libro. Buffon è anche legato a Pisa e provincia, perché il figlio Louis Thomas gioca nella primavera nerazzurra. Un nome che si rifà a Thomas N'Kono, il portiere camerunense che a Italia 1990 fece definitivamente scegliere la porta a Buffon. La presentazione del libro si chiude in anticipo per problemi di blackout (luci di emergenza a batteria). Il tempo per il firmacopie fra sorrisi, battute e strette di mano.