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Basket: il personaggio

Dal quasi scudetto alle dimissioni: sottocanestro l'ultima lezione di stile di coach Luca Banchi

di Federico Lazzotti
Dal quasi scudetto alle dimissioni: sottocanestro l'ultima lezione di stile di coach Luca Banchi

Il tecnico grossetano, ex Livorno e Siena, ha lasciato la Virtus dopo l'ultimo ko in Eurolega: i 450 giorni con le V nere sono un poema epico: riscatto, successo e caduta. Fino al messaggio (ironico) della moglie

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GROSSETO. Dopo l’Alba (Berlino) ha capito che la sua esperienza come allenatore della Virtus Bologna era arrivata al tramonto. Ma nello sport, come nella vita, si può uscire di scena in tanti modi: in silenzio e con dignità (lo fanno in pochi) , sbattendo la porta come ha fatto l’ex tecnico della nazionale Roberto Mancini, o trattando una buona uscita dorata, come successo a Max Allegri alla Juventus e Carlos Tavares con Stellantis, universi lontani uniti da chi stava seduto dall’altra parte del tavolo della trattativa.

Luca Banchi da Grosseto, 60 anni il prossimo primo di agosto, ha lasciato la guida tecnica delle V nere – con Milano la squadra più vincente della storia della pallacanestro italiana – dando a tutti una lezione di stile: dimissioni prima comunicate alla squadra e poi alla società. Colpa di un inizio di stagione più difficile del previsto (mercato sbagliato? ), soprattutto in Eurolega, dove la Virtus è ultima con due vittorie e undici ko. Facendosi da parte senza che qualcuno glielo imponesse, ha rinunciato – gesto rivoluzionario in un mondo dove per il vil denaro si è disposti a tutto – al compenso che la società avrebbe dovuto corrispondergli fino alla fine della stagione, visto il contratto biennale firmato a settembre 2023 quando aveva preso il posto di Sergio Scariolo.

Seppur rarissima nei modi, l’uscita di scena dell’ex allenatore di Livorno e Siena non racconta fino in fondo la parabola umana e professionale vissuta da Banchi nei 450 giorni alla guida della Virtus. A rileggerla sembra di entrare in un poema epico: riscatto, successo e caduta. Un moderno Ulisse della palla a spicchi (ri) chiamato a Itaca dopo aver girato l’Europa dei canestri tra alterne fortune. Poi un giorno di agosto eccolo di nuovo lì, il ragazzo cresciuto nel quartiere di Gorarella, a insegnare pallacanestro al mondo alla guida della Lettonia (non un top team). Superato a sorpresa il girone eliminatorio, si è arreso solo ai quarti di due punti alla Germania che qualche giorno dopo avrebbe vinto il titolo.

Eletto miglior coach del mondiale arriva la chiamata di Bologna: quattro allenamenti con la squadra e primo trionfo in Supercoppa. Sulle ali dell’entusiasmo, con la regia di Hackett e la difesa di Pajola, i canestri di Belinelli, Lundberg e Cordinier, i centimetri di Shengelia e l’esplosività di Abass, inanella successi su successi. Tanto che il Blog “La Giornata Tipo”, bibbia dei cestisti, arriva a scrivere che Banchi è talmente in fiducia che «avrà ragione al termine di una discussione con sua moglie». Pochi minuti, tra i commenti, compare la smentita della diretta interessata: «L’ultimo punto è da rivedere», scrive Silvia Palmieri. È l’apoteosi del metaverso. Banchi diventa icona, Re Mida di stile, educazione e risultati. Abbandona la maschera di primo della classe con l’area saccente e sotto si scopre umano, vulnerabile, sorridente. E maledettamente bravo. Anche se ogni tanto si incazza ancora e gli escono le vene dal collo.

Il 29 dicembre all’aeroporto di Bologna ci sono mille tifosi ad accogliere la squadra di ritorno dal successo di Belgrado che fa volare la Virtus al vertice della Coppa dei Campioni. È la vetta di una stagione che Bologna chiuderà perdendo al finale scudetto con Milano e la gara decisiva per arrivare ai playoff di Eurolega contro il Baskonia di Dusko Ivanovic. Proprio l’allenatore chiamato dalle V nere per guidare la squadra al posto di Banchi. Sipario. Anzi, sirena.
 

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