Basket, Brienza non dimentica Pistoia: «Il senso d’appartenenza è tutto»
Il coach che ha portato nella massima serie del basket Cantù ricorda il passato
PISTOIA Tre anni pistoiesi sempre "andando al massimo", con la certezza di non avere rimorsi dopo la separazione con Estra, seguita da un ritorno a Cantù da vero profeta in patria. Nicola Brienza riavvolge il nastro del suo recente passato biancorosso - di cui ha un po’ nostalgia - e lo mischia con il suo presente, a tinte biancoblù.
Le 5 giornate (senza vittorie) di Cantù: Brienza dica la verità, anche lei aveva cominciato a non crederci più?
«Perdendo ci siamo tolti la promozione diretta. Ero "terrorizzato" di lottare per il primo posto e poi vederlo sfuggire. Abbiamo capito che la strada erano i playoff: abbiamo messo anima, cuore, testa e fisico per salire».
Basile, passato da Pistoia, eletto mvp dei playoff. È lui l’uomo simbolo di questa promozione?
«Sì. È stata per lui una stagione pazzesca, con un girone di andata incredibile con la chiamata in nazionale. Dopo un po’ di stanchezza, nei playoff si è ritrovato alla grandissima».
Cosa risponde a chi sostiene che Cantù abbia avuto qualche aiuto nella serie contro Rimini?
«Contro Rimini in stagione stiamo 5 a 0. Al d là di qualche fischio, mai come a questo giro abbiamo meritato di vincere i playoff».
Brienza e l’addio a Pistoia. Lei ai tempi disse che sarebbe rimasto. Col senno di poi le è andata bene.
«Era evidente che non ci fossero le condizioni per lavorare. Non sai mai dove arriva il limite del peggio. Non credevo che quel limite venisse superato. Non ho rimorsi».
Con Estra tre anni d’oro e il premio di miglior allenatore nell’ultima stagione. Non se l’era meritata una chiamata da una squadra di A1?
«Conviene non vincerlo, perché a chi lo vince non ha portato bene (sorride, nda). Però Cantù è una realtà importante da sempre nel basket. Ero sicuro di un progetto serio. A volte si fa un passo indietro per farne cinque avanti».
Per Riisma grande ex, si ipotizza un ritorno a Pistoia. Avallerebbe la cessione?
«Si, quando vai in A1 serve un roster importante, e l’inserimento degli stranieri obbliga a fare scelte figlie della costruzione della squadra. Le qualità anche umane sono uniche. Ha la maturità per tornare a Pistoia da "prima punta"».
Altro doppio ex, già a Pistoia è Johnson, che lei conosce molto bene. È l’uomo giusto per puntare a qualcosa in più della salvezza?
«Conosce già e Sacca e Tommaso e l’inserimento sarà più rapido. Fa sognare i tifosi e fa ritornare quell’entusiasmo che serve. Come ha detto Di Nino serve una stagione di assestamento per salvarsi e poi negli anni futuri programmare. Se arriva qualcosa di più tanto guadagnato».
Della Rosa allenatore, Saccaggi capitano e Benetti confermato. È la trinità giusta per la ripartenza?
«Il campionato di A2 è difficilissimo. A Pistoia si riparte da un forte senso di appartenenza. C’è la fortuna poi di avere eccellenti professionisti oltre al lato romantico».
Che le manca degli anni pistoiesi?
«Tante cose: sia nella vita privata che professionale. Avevamo trovato un bellissimo feeling con tutto lo staff. E la quotidianità extra basket, prima di tutto. Una famiglia».
Da fan di Vasco, più "Vado al Massimo" o più "Come nelle favole" il triennio pistoiese?
«Vado al massimo, perché nessuno si aspettava quei risultati. Parliamo poco della supercoppa, ma da quel match abbiamo capito di poter fare qualcosa di grande. E in Gara 5 contro Verona ho visto le facce degli italiani nello spogliatoio: facce di chi l’anno dopo doveva e voleva vincerla».
Semifinale di gara 5 contro Cantù: Pistoia vince e va in finale. Quanto gliela fanno... pesare?
«Parecchio. A Pistoia mi prendevano in giro per l’appartenenza. E a Cantù, c’è un intreccio di "inimicizia" sportiva. La sconfitta è stata dolorosa. Me l’hanno fatta pesare in maniera ironica. Loro stavano male, mica io».
Quanta pressione nell’essere canturino e dover salire per forza?
«Pressione doppia: una da professionista e una perché conosci tutti, con tanti andavo all’oratorio. Nelle difficoltà sentivo la responsabilità degli amici. Però poi ho festeggiato due volte: sia da professionista che da amico di tanti».
Vale di più la promozione con Pistoia o quella coi biancoblù?
«A Pistoia eravamo gli underdog, e ho accettato la sfida. Qui a Cantù ho gente che ha vinto e dovevo dimostrare di essere in grado di gestire il gruppo. Alla fine hanno lo stesso sapore, con obiettivi diversi».