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Morto dopo la scarica del taser, il cardiologo: «Rischi soprattutto per i cardiopatici, servono linee guida e formazione»

di Massimo Sesena

	Il dottor Nicola Bottoni
Il dottor Nicola Bottoni

Il dottor Nicola Bottoni, responsabile della struttura di aritmologia interventistica all'ospedale di Reggio Emilia, dopo la morte del 41enne Claudio Citro: «Nelle persone che hanno pacemaker o defibrillatori sottocute una scossa può avere gravi conseguenze»

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REGGIO EMILIA. Quando la tragedia di Massenzatico, frazione di Reggio Emilia, si era da poco compiuta, tutte le reazioni dei sindacati di polizia erano praticamente unanimi. Non solo nell’esprimere il cordoglio per la vittima, il 41enne Claudio Citro, originario di Salerno e da alcuni anni domiciliato a Montecatini, e non solo per manifestare la vicinanza al collega che si era visto costretto a fare uso del taser. Oltre a tutto ciò, i sindacati delle forze dell’ordine si sono mostrati concordi nel definire ormai imprescindibile l’utilizzo di questo strumento di deterrenza in dotazione alle forze dell’ordine.

Ma è davvero così? In Italia questo strumento è stato introdotto di recente e anche se non mancano i precedenti di quanto accaduto lunedì mattina, non vi è ancora una letteratura scientifica in materia. Uno studio (non recente, del 2009) commissionato da Axon, la principale azienda che nel mondo produce questo strumento, rivelava come nel 99,75% dei casi l’uso del taser non avesse determinato danni o lesioni serie, ma solo escoriazioni o graffi, e che nessuna morte era stata provocata. Da lì in poi, qualcosa dev’essere cambiato se è vero che oggi Amnesty International sostiene invece che, dal 2001, il numero di morti causate direttamente o indirettamente dal taser sia di circa un migliaio.

«Fatico a pensare a questo strumento come qualcosa di innocuo e se penso che venga usato solo perché si dice sia meno pericoloso di una pistola, resto abbastanza strabiliato». A parlare così è Nicola Bottoni, cardiologo responsabile della struttura di aritmologia interventistica del reparto di Cardiologia dell’ospedale di Reggio Emilia. Il punto di vista di chi – da medico – lavora quotidianamente con le stimolazioni elettriche del cuore umano è fondamentale per mettere a nudo quelle lacune che l’adozione di uno strumento come questo, porta oggi con sè, soprattutto se si pensa che – quando si imboccano determinate strade – lo si fa quasi sempre sull’onda di emozioni e quasi mai a mente fredda e lucida. Perché quando i sindacati parlano di formazione degli agenti all’uso di questi strumenti difficilmente si riferiscono a un addestramento che porti coloro che impugnano il taser e stanno per usarlo, a inquadrare chi hanno davanti dal punto di vista sanitario.

«In linea teorica – riconosce il dottor Bottoni – su una persona relativamente giovane e in buona salute, la scossa del taser ottiene lo scopo per cui è stata pensata, stordendo per un tempo limitato. Il discorso cambia quando chi è costretto a usare il taser si trova davanti, senza saperlo, una persona che soffre di aritmia, o addirittura che è portatore di quei device che aiutano a stabilizzare i battiti del suo cuore, penso ai pace-maker o ai defibrillatori sottocutanei. In quei casi la scossa che parte dal taser, non essendo in alcun modo sincronizzata con l’attività cardiaca, rischia di mandare in tilt i device impiantati sull’uomo, provocando nei casi più gravi un’aritmia maligna».

Per questo motivo, forse, evitando di cadere anche in questo caso nella trappola dell’emotività sarebbe importante che venissero diffuse, magari dalle società di cardiologia, delle linee guida che potrebbero migliorare la formazione di chi deve usare lo strumento. «Nella letteratura scientifica – chiarisce il medico – non ci sono vere e proprie linee guida, anche se non mancano prescrizioni come quelle dei rianimatori del servizio di emergenza-urgenza che sottolineano la necessità che gli agenti che hanno in dotazione il taser siano addestrati non soltanto all’uso, ma siano anche in grado di utilizzare il defibrillatore semiautomatico e sappiano effettuare le operazioni di rianimazione cardio-polmonare». 

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