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Lucca, salve dal Covid nel giorno sacro: ora anche il Vaticano "indaga" sul miracolo delle Barbantine

di Silvia Barsotti

	Le suore
Le suore

Nel 2020 scoppiò un focolaio nel convento: le anziane suore si salvarono. Il tampone negativo nella data in cui si celebra la fondatrice dell’ordine. Il racconto della dottoressa Barbara Ballerini

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LUCCA. Cinque anni fa, a Lucca, si è consumato un evento che, chi lo ha vissuto, considera un miracolo. O meglio, di una grazia. Anche il Vaticano lo sta investigando. Accadde in uno dei momenti più difficili degli ultimi tempi, quando la paura e lo sgomento per il Covid pervadevano ogni luogo. È una storia in cui le coincidenze si intrecciano al coraggio e alla resilienza di donne che, anziché pensare solo a sé stesse, hanno scelto di aiutare le proprie sorelle. E che attribuiscono la loro salvezza alla protezione di Maria Domenica Brun Barbantini, fondatrice dell’ordine delle suore Barbantine.

La pandemia

Era marzo 2020. Una delle religiose – suor Marisa Remedi, 89 anni – da poco dimessa dall’ospedale dopo un’embolia polmonare, tornò nella casa madre del convento, nel pieno centro di Lucca dove le suore ministre degli infermi di San Camillo (conosciute da tutti come Barbantine) alloggiano, dividendosi tra la vita la in comunità e l’assistenza spirituale ai pazienti della confinante casa di cura. Il giorno dopo il rientro la suora si sentì di nuovo male: febbre alta, difficoltà respiratorie. Visitata dalla dottoressa Barbara Ballerini, “medico di famiglia” della religiose, fu riportata d’urgenza in ospedale, dove si scoprì che aveva il Covid. Poco dopo, il suo cuore si fermò. Intanto, nella casa madre delle Barbantine, il virus cominciava a diffondersi: febbre e tosse colpivano le altre suore, una ventina in tutto, una dopo l’altra. Arrivò a visitarle anche il primario di Malattie infettive e sottopose a tampone tutte le religiose, le cuoche e il personale. L’esito fu devastante: su 20 sorelle ben 17 erano positive e la maggior parte avevano un’età compresa tra i 70 e i 96 anni.

La quarantena

Iniziò così un periodo durissimo, due mesi in cui la loro stabilità venne messa a dura prova. Ognuna dovette isolarsi nella propria stanza, senza poter incontrare le altre. «Se le avessimo mandate tutte in ospedale, sarebbero morte – ricorda la dottoressa Ballerini –, così decidemmo di tenerle qui. Era meglio che si spegnessero in casa, piuttosto che nel caos di quegli ospedali». Ma l’aiuto non tardò ad arrivare: altre consorelle, che prestavano servizio altrove, scelsero di trasferirsi da loro, senza badare alla paura del contagio. Tra loro suor Giuseppina: «Indossavamo guanti colorati, raccontavamo barzellette, facevamo giochi per distrarle. Ma nonostante gli sforzi, le giornate erano pesanti e tutte uguali».

Le più anziane, spesso confuse, non comprendevano perché dovessero rimanere chiuse in camera. «Una mi chiese: «Cos’è successo? Non è mica che alla Madre superiora è venuto in mente che non dobbiamo più pregare insieme?”» ricorda suor Giuseppina. Alcune faticavano a respirare, altre non riuscivano ad alzarsi dal letto per i dolori muscolari. La giornata era scandita dalla somministrazione delle medicine; la Messa si seguiva solo in televisione e ciascuna doveva pregare da sola. «Ogni sera, prima di dormire, mi chiedevo se il giorno dopo sarei rimasta in vita», confida suor Teresa, tra le più gravi, ma anche tra le più serene durante la quarantena. Eravamo all’inizio della pandemia e gli strumenti di protezione erano scarsi: camici e semplici mascherine chirurgiche, spesso abbassate per parlare meglio. Nonostante questo, le tre sorelle sane che si occupavano delle altre non contrassero mai il virus. «Ci siamo divise i compiti – ha spiegato suor Giuseppina – suor Rebecca si occupava della parte alberghiera, suor Gemma di quella burocratica». Intanto portavano i pasti, lavavano e vestivano chi non era autonoma, assistendo donne molto anziane; over 90 cardiopatiche, diabetiche, ipertese.

I tamponi negativi

Poi, il 22 maggio, la svolta: i tamponi risultarono negativi per tutte. Ma quel giorno non era un giorno qualunque. Il 22 maggio 1868 moriva la fondatrice, Beata Maria Domenica Brun Barbantini, e da allora ogni anno in quella data se ne celebra la memoria. «Per la prima volta dopo due mesi siamo uscite dalla casa e siamo tornate in chiesa. Ritrovarci tutte insieme, guarite, fu un’emozione indescrivibile», racconta suor Teresa. «In nessun altro posto è accaduto qualcosa di simile – ha sottolineato la dottoressa Ballerini –: tutte sono sopravvissute, nonostante età avanzata e patologie gravi».

La protettrice

Per le religiose, il merito è stato della fondatrice e della preghiera collettiva che ha sostenuto la comunità. «È stata la mano del Signore attraverso di lei», ha affermato suor Teresa. Ma la vicenda delle Suore Barbantine, punto di riferimento storico e spirituale per la città, è arrivata fino in Vaticano. «Ci hanno chiesto la relazione medica». Al momento non ci sono risposte ufficiali, ma l’evento potrebbe rientrare nella categoria degli “scampati pericoli”, uno dei criteri che la Chiesa valuta per riconoscere un miracolo e quindi necessario per il processo di canonizzazione della Beata fondatrice. Forse non sarà un miracolo agli occhi della Chiesa, ma per le suore Barbantine e per chi ha vissuto quei giorni, resta una grazia che nessuno potrà dimenticare. 

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