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Prevenzione e salute

Lucca, sesso e adolescenti: il rischio di sapere tutto e non conoscere niente

di Valentina Landucci

	Patrizia Fistesmaire responsabile dei Consultori della Piana e Direttrice dell’unità di Psicologia dell’Usl.
Patrizia Fistesmaire responsabile dei Consultori della Piana e Direttrice dell’unità di Psicologia dell’Usl.

Tra gli under 19 il 44% non fa uso di protezioni. Troppo web e famiglie assenti: cosa si può fare

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LUCCA. Il 41% dei giovani tra i 14 e i 19 anni ha già avuto rapporti, ma solo il 56% usa il condom, con aumento di infezioni sessualmente trasmesse e riscontro di sieropositività tardiva. Sono dati regionali ma sovrapponibili alle dinamiche locali intorno ai temi sessualità e affettività tra i giovani dove precocità e disinformazione la fanno, spesso, da padrone. Di fronte a questa situazione la Toscana rappresenta un esempio virtuoso di progetti e opportunità educative: consultori aperti fin dai 13 anni, contraccezione gratuita, percorsi nelle scuole. Come quelli che hanno avuto come protagonisti quest’anno i professionisti dei consultori di Lucca, grazie anche a Patrizia Fistesmaire responsabile dei Consultori della Piana e Direttrice dell’unità di Psicologia dell’Usl.

Dottoressa perché è importante l’educazione sessuale precoce?

«Perché il corpo emotivo dell’adolescente arriva molto prima delle sue parole. Parlare presto di sessualità – già a partire dai 10-11 anni – permette di costruire un vocabolario affettivo prima che siano il web e il branco a riempire il silenzio. In Italia, la cultura del “non ancora” ha rallentato ogni azione strutturata, mentre nei paesi nordici l’educazione alla sessualità è materia scolastica da decenni, con impatti tangibili. La letteratura è chiara: ciò che si nomina, si può comprendere. E proteggere. I bambini diventano adolescenti molto prima di quanto pensiamo. L’educazione sessuale non è parlare di genitalità, ma di identità, confini, desiderio e rispetto: serve a costruire un “codice interiore” prima che lo facciano il web o i pari. I paesi nordici hanno introdotto questi percorsi nelle scuole primarie con risultati chiari: meno gravidanze indesiderate, meno abusi, più benessere psicosessuale. In Italia invece domina ancora una logica attendista, che lascia spazio al silenzio e alla vergogna. Dal punto di vista psicologico, intervenire precocemente permette al Sé in formazione di elaborare ciò che prova prima che diventi un sintomo: ansia, condotte a rischio, ritiro sociale. Un adolescente che conosce se stesso sarà meno vulnerabile alla coercizione e alla paura. Serve partire presto, perché è nell’età dell’“inconsapevolezza fluida” che si semina il futuro affettivo».

Chi si rivolge ai Consultori giovani e con quali richieste?

«Arrivano con lo zaino, gli occhi bassi e mille domande non dette. Ragazze di 15 anni che non sanno se è normale non desiderare. Ragazzi di 17 che vogliono capire se essere gentili li rende deboli. Arrivano con richieste esplicite, ma spesso portano molto di più. Una ragazza di 14 anni può chiedere una consulenza ginecologica e, nel frattempo, interrogarci con gli occhi su cosa significhi essere toccata. Un ragazzo di 16 anni viene per ansia da prestazione, ma sta cercando di capire se può essere maschio e fragile. I consultori giovani, come nel modello toscano 13-25 anni, sono uno spazio transizionale: un luogo protetto dove la relazione cura. Spesso si tratta di problemi relazionali, con se stessi, con il gruppo dei pari, stress correlato alla scuola, senso di emarginazione, bullismo, fine di legami amorosi, oppure inizio, identità fluide, desideri incerti, paure rispetto al giudizio sociale. Psicologicamente, ciò che chiedono davvero è contenimento e legittimazione: vogliono sentirsi dire che vanno bene così come sono. Offrire ascolto non direttivo, rispecchiamento e contenuti adeguati all’età è ciò che permette al loro “io in costruzione” di evolvere senza fratture. I consultori sono le nuove “stanze delle parole”. Cercano ascolto, identità, e la possibilità di non essere giudicati».

Che ruolo hanno i social nella sessualità dei giovani?

«Sono specchi deformanti: offrono accesso illimitato a contenuti sessuali, ma lasciano fuori il sentire. TikTok e Instagram educano per sottrazione: mostrano corpi, non emozioni. I dati europei ci parlano di un aumento della disinformazione e della pornografia come primo approccio sessuale per molti 13enni. Non si limitano a questo, ma lo usano come unica bussola quando gli adulti tacciono. Manca la lentezza, manca il contatto. E c’è troppo performance, troppo algoritmo, troppo poco umano. I social sono diventati la prima educazione sessuale: rapida, gratuita, accessibile. Ma anche priva di contatto emotivo, empatia e tempo per elaborare. I giovani si ritrovano a confrontare il proprio corpo e desiderio con una realtà iperfiltrata, dove l’intimità è spettacolo e l’identità diventa brand. Molti ragazzi e ragazze iniziano a esplorare la sessualità attraverso contenuti pornografici già dai 10-12 anni. Ma ciò che manca è l’elaborazione simbolica: non c’è spazio per il dubbio, per il goffo, per l’incerto. Dal punto di vista psicologico, questo crea adulti precoci nel corpo e immaturi nella mente. I social forniscono contenuti ma non narrazioni emotive: il piacere è performato, il consenso è implicito, l’affetto è assente. Eppure i giovani non rifiutano il dialogo: lo cercano, se trovano adulti capaci di restare, anche nei momenti scomodi».

Che fine hanno fatto i genitori nell’educazione sessuale dei figli?

«Spesso sono comparse silenziose in una scena in cui temono di non avere il copione. Hanno paura di dire troppo, o troppo poco. Si rifugiano nel “ne parleranno a scuola”, ma la scuola non sempre c’è. I figli cercano nei genitori uno sguardo che non arrossisca, una presenza che non giudichi. L’educazione affettiva non è una lezione: è un’atmosfera. E quando manca, i ragazzi cercano altrove – trovando tutto, tranne il senso. Molti genitori sono silenziosi spettatori. Non per disinteresse, ma per mancanza di strumenti. Hanno ricevuto poco, e faticano a trasmettere ciò che non conoscono. A volte cercano di “delegare” la scuola o internet, altre volte si rifugiano in frasi rassicuranti o in divieti. Ma l’educazione affettiva non si fa con il divieto, si fa con la presenza: è uno sguardo che accoglie, una parola che nomina, un silenzio che resta accanto. Psicologicamente, il compito del genitore è quello di aiutare il figlio a separare l’identità dagli stereotipi, a distinguere il piacere dal bisogno di approvazione. Oggi servono genitori disposti a farsi domande prima di dare risposte, a entrare nel mondo dei figli senza invaderlo. Dove mancano gli adulti presenti, i giovani costruiscono la propria sessualità sulla base di narrazioni disincarnate. Ma una buona relazione educativa resta il più potente strumento di prevenzione». l
 

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