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Livorno, Paolo Indiani: «Qui la vittoria più bella». I tre giocatori chiave, la vittoria clou e cosa servirà in C

di Alessandro Lazzerini

	La felicità di Paolo Indiani dopo la matematica promozione in Serie C (foto Stick)
La felicità di Paolo Indiani dopo la matematica promozione in Serie C (foto Stick)

L’allenatore: «Ho un contratto, ma devo ancora parlare con la proprietà. Tra D e C c’è una differenza enorme, presto dovremo fissare l’incontro»

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«Cosa serve per vincere la Serie D e quindi cosa è mancato al Livorno in questi anni? ». Ci voleva Indiani allenatore. A una delle prime domande nella conferenza stampa di presentazione il 7 giugno scorso, il “mago di Certaldo” rispose così. Risate e applausi nella calda sala stampa dell’Armando Picchi. Oggi a distanza di dieci mesi si può dire: ha avuto ragione lui. «Vista a posteriori sì – sorride il tecnico amaranto -. Un fondo di verità in realtà c’era, perché ormai penso di sapere cosa serva per vincere questo campionato. Sapevo che se la proprietà ci avesse seguito ce la saremmo giocata. Se uno parte per vincere, non può essere fuori dai giochi a febbraio. Poi a volte capita di perdere per poco, ma fino in fondo ci devi arrivare».

Che vittoria è?

«Intanto è la piazza più grande dove ho conquistato una promozione e questo si porta dietro tutto. Una città unica per come si vive il calcio. La gente ha passato la domenica a ringraziarmi , ma sono io che devo ringraziare voi. È la testimonianza di come sia speciale questo posto».

Cosa rappresenta nella sua carriera, una ciliegina sulla torta?

«Un qualcosa del genere. Non voglio dire di sì perché spero di vincere ancora. Nel corso dei mesi l’ho sentito che c’era qualcosa in più rispetto alle altre. Vincere qui è speciale».

Un momento clou del campionato?

«La vittoria col Grosseto. Era la nostra rivale più accreditata e all’intervallo eravamo sotto 0-2. Dissi ai ragazzi che un risultato del genere non stava né in cielo né in terra. La ripresa con 5 gol è stata una dimostrazione di forza assoluta».

Altri flash?

«Il blitz a Siena, il 5-0 con il Gavorrano in casa e il successo contro il Siena nel giorno dei 110 anni. Contro le principali antagoniste abbiamo sempre dimostrato tanto».

Ha mai avuto dubbi su questo successo?

«Dopo quella giornata col Grosseto direi di no. Sono sempre stato convinto di arrivare fino in fondo. Non pensavo con questo distacco».

Che spogliatoio è quello del Livorno?

«Sono fortunato, ho sempre avuto gruppi di cui non mi posso lamentare. La Serie D è difficile perché tra over e under ci sono due generazioni diverse. Qui si sono integrate al meglio».

Ha dovuto usare più il bastone o la carota?

«Sono uno che stimola anche troppo i giocatori. Dopo la matematica promozione li ho ringraziati. Mi hanno sempre seguito. A volte ho esagerato nello spingere, ma sono fatto così».

Un ricordo particolare di questa stagione?

«Mi ripeto, quei ringraziamenti e poi una marea di selfie. Non mi era mai capitato. Sapevo che fosse una piazza a sé ed è uno dei motivi per cui l’ho scelta. È stata una fortuna prendere quella decisione. Ho lasciato la C, ma sono stato ricompensato».

Uno dei giocatori chiave è stato Rossetti, che in estate sembrava fuori dal progetto.

«Era l’unico con caratteristiche da centravanti. C’erano ipotesi di tagliarlo, ma mi opposi. Gli abbiamo dato fiducia e lui ha risposto alla grande. A gennaio abbiamo preso Gucci per avere un’assicurazione se Simone avesse avuto dei problemi. Ha fatto un salto di qualità notevole».

E quando le hanno detto che poteva arrivare Dionisi?

«È stata un’idea della società, un lusso a cui puoi rispondere solo sì. Sapevo che sarebbe stato un valore aggiunto. Soprattutto all’inizio è stato decisivo, ci ha dato un aiuto da giocatore vero per partire bene. Basta ricordare l’ingresso nell’esordio col Trestina, determinante».

E un giocatore che ha fatto di tutto per averlo?

«Forse Brenna, dopo la stagione altalenante dello scorso anno qualche allenatore non lo avrebbe tenuto. Lo conoscevo e l’ho voluto. Così come con forza ho chiesto Risaliti. Ma se devo fare un nome dico Hamlili, anche per la difficoltà della trattativa».

Ha cambiato tantissime formazioni, cosa c’è dietro?

«Preferisco fare così. È meglio avere diciotto titolari da 7, che 11 titolari da 8. Per gratificare chi gioca meno e in allenamento dà tutto aiutando il gruppo a crescere di livello. Visto il vantaggio largo poi ho esagerato un po’, ma l’ho sempre fatto. Inizialmente con due soli 2006 ero un po’ preoccupato, ma l’arrivo di Bacciardi ha sistemato tutto».

Il segreto di questo Livorno?

«La qualità dei giocatori. Qualità tecnica e morali. È stato il mix perfetto».

Il principale merito della società?

«Di aver supportato con fiducia e coraggio quello che dovevamo fare. Siamo riusciti a prendere chi volevamo e in corso abbiamo anche allargato lo staff tecnico. Non è scontato».

Un nome che l’ha sorpresa?

«I due portieri Tani e Ciobanu sono cresciuti tantissimo grazie anche al lavoro del nostro preparatore. Marinari lo conoscevo poco, me lo avevano presentato come un attaccante. E invece da esterno è stato bravissimo. Ma dico Capparella. Me lo avevano presentato come una semplice seconda punta. Invece è un giocatore straordinario a tutto campo per corsa, qualità, intensità».

Che peccato quell’infortunio.

«Davvero. Dovemmo anche cambiare sistema di gioco dopo. Dissi che avrei preferito perdere la partita piuttosto che lui. Era un giocatore chiave. Se vinci uguale vuol dire avere una squadra top».

Ora la Poule Scudetto.

«Prima finiamo queste giornate».

Un po’ ci pensa però?

«La vinsi a Massa, mentre ad Arezzo uscimmo per differenza reti. È un torneo divertente, non c’è la stessa fame del campionato, ma ci sono avversari di alto livello. Siamo orgogliosi di partecipare, vuol dire aver vinto».

Per il prossimo anno c’è il contratto, ma dovrà esserci anche altro.

«Esatto. Dovremo parlare di tante cose insieme alla proprietà e vedere un po’ tutto. Tra D e C c’è una differenza enorme».

L’incontro con il presidente Esciua è già in programma?

«Non ancora».

Cosa servirà per trovare l’accordo?

«Unità di intenti. Quando si vince è tutto bello, ma in C possono esserci anche momenti duri. Servono basi solide e remare tutti nella stessa direzione».

Darebbe continuità?

«Certo. C’è un nucleo di giocatori da mantenere, ma ci vogliono degli innesti mirati per completare la rosa e alzare il livello».

Che categoria è la C?

«Bella, ma difficile difficile da fare. C’è più tecnica, più organizzazione, più corsa. Si gioca contro società come Ternana, Perugia, Pescara, club importanti e strutturati».

Si può puntare subito in alto?

«Questo va chiesto alla proprietà. Il primo pensiero deve essere un progetto solido, con basi precise per più anni. Ne va su una su 20, non è facile. Anche se il Livorno tra le piazze che ho detto prima ci sta bene».

Se le diciamo che si è preso un posto tra i grandi allenatori del calcio livornese, vincente e amato, come Melani, Jaconi, Nicola. Che effetto le fa?

«Una soddisfazione enorme, quasi come una vittoria del campionato».

Un messaggio che le ha fatto piacere in questi giorni?

«Tante battute. “Prima di smettere ce l’hai fatta a vincere un campionato”, mi hanno scritto. Il più famoso Spalletti, poi tanti giocatori del passato che mi hanno detto “ero sicuro che ce l’avresti fatta”. Vuol dire aver lasciato qualcosa».

Una dedica?

«Alla mia famiglia. E poi alla città di Livorno, unica in tutto. Siamo orgogliosi di aver riportato questi colori nella minima categoria che meritano».

Oggi ci ricordiamo del Livorno di Melani nell’83-’84, magari tra qualche decennio ci si ricorderà del Livorno di Indiani…

«È la cosa più bella».

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