Loris Rispoli, il figlio: «Babbo ha dato la vita per la verità, purtroppo non vedrà il risultato»
Simbolo e anima dei familiari delle vittime del Moby: «In questi ultimi anni è stato difficilissimo non poter sentire più la sua voce»
LIVORNO. «Mio padre ha dato la vita per cercare di scoprire la verità sul Moby Prince e il più grande rammarico è che non riuscirà a conoscerla. Ci siamo vicini, questo anche grazie a lui, ma questi metri che ci separano dalla giustizia saranno quelli più duri e occorrerà un grandissimo impegno, una grandissima forza, che grazie alla sua opera di condivisione ora porteranno avanti le persone che lui ha coinvolto in questa battaglia. Perché mio babbo non era solo. La battaglia per la verità lo ha logorato al punto che è successo quello che è successo. Lo ha stressato, lo ha ucciso. Ora il testimone è passato ai suoi successori: uomini valorosi, come Nicola e Sergio, che supporteranno i familiari come faceva mio padre. Insieme ce la faremo, non dobbiamo arretrare proprio adesso».
Andrea Rispoli fatica a trattenere le lacrime pensando a suo padre Loris, l’anima dell’associazione “140” che da quasi 35 anni chiede verità e giustizia dopo il più grande disastro della marineria italiana, la strage del Moby Prince, che il 10 aprile del 1991 ha spezzato la vita di sua zia Liana, morta a 29 anni mentre lavorava nella boutique del traghetto Navarma diretto a Olbia, e di altre 139 persone. Centoquaranta, infatti, è il nome del collettivo fondato da suo padre, il numero delle vittime. Loris, due giorni fa, è scomparso a 69 anni dopo aver trascorso esattamente metà della sua esistenza a inseguire la verità sul disastro del Moby fra silenzi e omissioni. Perché tutti abbiamo il dovere di sapere cosa è successo quella sera e lui, con la sua associazione, lo stava ripetutamente chiedendo a gran voce.
Loris, da quasi cinque anni, era costretto a una vita limitata: salvato nel febbraio del 2021 dai volontari delle ambulanze e dal medico del 118 dopo tre arresti cardiaci mentre si trovava a casa dei genitori in via della Vecchia casina, non riusciva più a parlare, seppur nei primi periodi di convalescenza riuscisse a comunicare scrivendo. È comunque sempre rimasto lucido: capiva tutto e sapeva dove la sua grande battaglia, principalmente grazie a lui, era arrivata. Domani, 25 novembre, alle 9,30, nelle sale del commiato della Svs (all’esterno del cimitero dei Lupi), a cura delle onoranze funebri della stessa Società volontaria di soccorso saranno celebrati i funerali.
Rispoli, chi era per lei suo padre?
«Una persona che voleva che la conoscenza arrivasse a tutti. Lui raccontava, raccontava e raccontava. Così facendo, nella ricerca della verità per la strage del Moby Prince, è riuscito a coinvolgere persone che neanche venivano toccate da questo disastro o familiari che inizialmente non volevano partecipare alle iniziative. Lui, motore della memoria e della richiesta di verità e giustizia, le ha rese parte attive di questo progetto. Tenace, appassionato, irriducibile: aveva una grande forza».
Di sua zia Liana invece cosa ricorda?
«Avevo appena sette anni quando la zia Liana se ne è andata, ma quello che ricordo è che il suo sorriso illuminava le persone intorno a lei, sembrava sempre felice. E, come babbo, era sempre pronta ad aiutare gli altri. Amava la pallavolo e quando dovette smettere di giocare si mise ad allenare per trasmettere alle ragazze la sua enorme passione».
Come sono stati questi ultimi anni per lui e per lei che lo ha amorevolmente assistito fino agli ultimi giorni?
«Difficilissimi. Per me non sentire più la sua voce è stato terribile, dato che il problema di salute che ha avuto gliel’ha tolta. I primi tempi comunicava scrivendo qualche appunto, ma è sempre rimasto consapevole di tutto. Capiva, è stato sempre fra noi».
Una vita, la sua, trascorsa a inseguire la verità.
«Purtroppo ne ha pagato le conseguenze perdendo la vita. Troppo stress per chiunque. Il grande rammarico è che non sia riuscito a varcare la linea del traguardo. Non manca molto, servirà un impegno senza eguali, ma ce la faremo».
Loris ha formato persone che, dal suo gravissimo problema di salute in avanti, hanno poi proseguito il suo lavoro nella ricerca della verità.
«Penso a Nicola e Sergio, persone fantastiche. Loris non voleva essere da solo e ha cercato di condividere tutto con tutti. Era sempre pronto a sdrammatizzare ogni situazione, anche se poi quando c’era da dire le cose in modo duro lo faceva, ad esempio in occasione della “smattata” in Senato (un “vaffa” detto alla presentazione della relazione finale della prima commissione d’inchiesta ndr). Si incavolava parecchio, ma era parte della sua forza».
Loris è diventato ben presto un punto di riferimento anche per i familiari delle vittime della strage di Viareggio.
«Era rimasto molto colpito dalle similitudini e si è messo subito in contatto con i parenti delle persone decedute per consigliare loro come procedere nella ricerca della verità. Con loro sono poi nati dei bei rapporti di amicizia. Babbo ha fatto sì che la sua esperienza potesse essere utile. Mio padre è stato anche a contatto con i parenti delle vittime dell’eternit e con chi ha perso amici e familiari nel terremoto dell’Aquila. È diventato ben presto un punto di riferimento un po’ in tutta Italia. Nel tempo ci sono state vicende che hanno avuto delle similitudini a quella del Moby e lui ha voluto sempre aiutare tutte le persone coinvolte da queste tragedie. Era sempre presente, ad esempio, alle ricorrenze per la strage di Viareggio. E gli altri ricambiavano venendo a Livorno.
L’hanno colpita i tanti attestati di stima di questi giorni?
«Mi hanno fatto molto piacere e vorrei ringraziare tutti uno per uno. Il giornalista Francesco Sanna, ad esempio, lo ha definito un “eroe civico”. Mio padre ha fatto tutto ciò che era possibile fare per rispettare la promessa fatta davanti ai corpi delle vittime della strage del Moby Prince».
