Livorno, muore dopo aver preso il Covid in ospedale: l’Asl condannata a un maxi risarcimento
Ricoverato per il New Delhi, Giovanni Mesini è stato contagiato in isolamento. «Medicina Interna fu l’epicentro di un importante cluster, virus trasmesso da un operatore sanitario»
LIVORNO. Era ricoverato in isolamento in ospedale dopo aver contratto il batterio New Delhi, poi ha preso il Covid ed è morto a 68 anni. Era il 13 gennaio del 2021 quando Giovanni Mesini, originario di Castelfiorentino e residente a Livorno, ha perso la vita. In quelle drammatiche settimane, fra le mura di viale Alfieri, ha scritto anche un diario: «Se non ce la faccio cercate di vederci chiaro», la sua richiesta agli amici. A poco più di quattro anni dalla tragedia, il tribunale civile di Livorno – con la giudice Simona Capurso – ha emesso la sentenza: l’Asl Toscana nord ovest è stata ritenuta responsabile del decesso e dovrà pagare 293.325 euro alla convivente e rispettivamente 79.806 e 76.410 alle sorelle. Un totale di 449.541 eu
ro, oltre alle spese di giudizio pari ad altri 13.813 euro.Il contagio
«Il contagio, risultato letale – si legge nella pronuncia – è avvenuto, probabilmente, alla fine di dicembre, mentre il paziente si trovava dal giorno 29 in regime di isolamento per aver contratto un’altra infezione, la Klebsiella pneumoniae Ndm (il New Delhi ndr). L’autopsia ha accertato che “le sue condizioni cliniche sono andate incontro a un sensibile e progressivo peggioramento, soprattutto per quanto concerne la funzione respiratoria, nei giorni immediatamente successivi al riscontro laboratoristico della positività al Covid”, concludendo che “l’infezione da coronavirus abbia avuto un ruolo concreto nel decesso, seppure in presenza di fattori di rischio, legati alle plurime commorbilità del paziente”». La giudice aggiunge che «il reparto di medicina interna, dov’era ricoverato Mesini, fu l’epicentro di un importante cluster epidemico e fra il 5 e il 17 gennaio 2021 ci furono ben 31 contagi, fra cui 17 pazienti, quattro medici e nove operatori di assistenza».
Le motivazioni
«Alla luce degli accertamenti del consulente tecnico della procura – sottolinea la giudice – deve ritenersi accertato, con un sufficiente grado di certezza che il decesso di Mesini sia stato causato dal Covid. Sul punto basta tenere in considerazione che il paziente è stato ricoverato in ospedale il 12 dicembre 2020, dapprima in medicina interna, poi a malattie infettive. Pressoché giornalmente è stato sottoposto a tamponi Covid, risultati tutti negativi. Il primo positivo risale al 6 gennaio 2021, quando era ricoverato da circa 25 giorni in ospedale, di cui gran parte di questi li ha trascorsi in isolamento perché risultato positivo all’altro virus. È chiaro, dunque, che tenuto conto del periodo di incubazione ormai accertato in un minimo di cinque e in un massimo di 14, non può che aver contratto il Covid mentre era ricoverato». «Il contagio – conclude il tribunale – deve essere avvenuto tramite il contatto con un medico o un infermiere o, comunque, con una persona della struttura sanitaria».
La nota dell’Asl
L’Asl «sta valutando, dopo un’attenta verifica delle carte processuali – si legge in una nota dell’azienda sanitaria – di appellarsi alla decisione del giudice. Da una prima analisi sembrerebbe che il tribunale abbia sostanzialmente equiparato l’infezione da Covid alle altre nosocomiali già note e studiate, come se si trattasse di un rischio sanitario ordinario e prevedibile. Tuttavia, è fondamentale ricordare che, nel periodo in cui si sono verificati i fatti, il nuovo coronavirus rappresentava una minaccia sanitaria senza precedenti, caratterizzata da un’elevata incertezza scientifica, da una rapida evoluzione delle conoscenze anche in relazione agli strumenti diagnostici e protettivi da utilizzare. In quel contesto, le strutture sanitarie, si sono trovate ad affrontare una situazione emergenziale con indicazioni in continua evoluzione. Assimilare il Covid ad altre infezioni già conosciute può implicare il rischio di semplificare eccessivamente la complessità del momento storico e le difficoltà operative affrontate dal personale. Inoltre, il tribunale, si è basato principalmente su una perizia penale, senza che fossero coinvolti gli operatori sanitari e senza considerare i controlli che la direzione effettuava sul rispetto delle procedure».
Parla l’avvocato
L’avvocato dei familiari, che chiede l’anonimato, spiega di «non voler entrare nel merito del provvedimento». «Questa è una pronuncia – aggiunge – sulla responsabilità dell’ente e rappresenta uno dei primi pronunciamenti di merito della giurisprudenza italiana su casi del genere».