Il Tirreno

La gara

Sanremo 2025, le pagelle alle canzoni. Cristicchi, che poesia (10). Brunori Sas ed Elodie da 8, Lucio Corsi ha forza. Fedez banale (3)

di Mario Neri

	Elodie
Elodie

I nostri voti scritti durante la diretta delle esibizioni della prima serata del festival della canzone italiana

8 MINUTI DI LETTURA





The Kolors. Allora, la sentite già, vero. State per salire in macchina, è una bella giornata di sole, state andando al lavoro, o forse state mettendo nel bagagliaio il telo da spiaggia, aprite lo sportello, allacciate la cintura, girate la chiave, è partita la playlist su Spotify, la radio sta suonando quelle più forti della stagione. E la state ancora ascoltando. Sì perché Stash e i suoi sono animali da hit. Non ne sbagliano una.

Voto 7,5


Francesca Michielin. Supera con grinta l’intoppo tecnico iniziale, il pezzo è intimista e autobiografico, quasi un’invettiva contro le piccole e grandi ipocrisie delle relazioni. L’ossimoro del titolo fa da filo conduttore al testo, non è felicissimo. Ma lei è un’interprete sapiente Voto 6,5

Voto 6,5.


Rocco Hunt. È l’unico, davvero l’unico, a cui si può concedere l’utilizzo del verbo fottere. Rocco ci catapulta nei quartieri difficili di Napoli, ci racconta di un mondo in cui la vita è sangue e cicatrici, disperazione e felicità indicibile. È lo sa fare senza stratagemmi volpini.

Voto 7.


Sarah Toscano. Porta sul palco di Sanremo un melodico contemporaneo, una canzone difficile, insidiosa, certi fraseggi sono concepiti come campi minati. Lei fra le mine fa lo slalom con la voce, e anche se a un certo punto l’emozione la tradisce, se la cava con sapienza. Ma il pezzo alla fine non è che sia una bomba, ecco.

Voto 5.


Bresh. Oh, non ci sarà certo la tradizione ligure (i pilastri non li nominiamo nemmeno, per rispetto) ma almeno non è urticante, anzi quasi ammorbidente. E a quest’ora è già un grosso risultato.

Voto 6.


Fedez. Dopo tutto quello con cui ha inondato i nostri scroll, i dissing, le liti con Chiara, i pandori, le belve vere e quelle finte, i pestaggi, gli amici ultras, l’amico Fabrizio, il nemico giudizio, poteva forse stupirci con un pezzo pieno di barre fatte di luoghi comuni e frasette stereotipate? Dai, Fede.

Voto 3.


Lucio Corsi. Attento Achille, c’è un ragazzo che sa scrivere, cantare, suonare. C’è un giovane che pare avere la forza poetica di Tenco, evoca Zero, David Bowie e ha ascoltato parecchio i Nirvana. E tutto questo retroterra ha saputo farlo fiorire.

Voto 8.


Clara. E niente, a lei le vocali steccate le perdoniamo tutte. Non sarà una tigre di Cremona e solo una giaguara di Varese in senso tecnico, nel senso che non ha certo le doti e le scale di una diva, ma il suo urban da Mare fuori in poi funziona sempre. 

Voto 6,5.


I Modà. Negli acuti Kekko Silvestre a questo giro sembra Roby Facchinetti, e non so se sia un bene. La canzone è davvero un quadro di Kandinsky. Cioè, uno si chiede ma tutti quei colori mi piacciono o no, tutto quello strazio melodico ci dà un palpito o son solo strilli da un pulpito?.

Voto 5.


Brunori Sas. È una colonna dell’indie italiano da anni, il genere che a noi nerd e inguaribili nostalgici del cantautorato storico emoziona perfino, anche se in genere è soporifero per la maggioranza. È una ballata lirica e delicata. L’ha detto pure la Crusca. Vabbè, roba per il premio della critica.

Voto 8.


Serena Brancale ha sfondato facendo dell’urban latino un tappeto musicale della pizzica, cantava in barese, ora mescola il pugliese a una lingua che sembra una miscela di idiomi. Esperta polistrumentista, furba. L’Ariston le serve per spaccare su Spotify.

Voto 6,5.


Tony Effe. Usa tutti gli stilemi dei giovani trapper glocal, ha studiato la lezione di Geolier, si diverte già al pensiero di noi che polemizzeremo per quelle citazioni equivoche, l’uomo d’onore, il mandolino, l’abito da padrino. Tony a un certo punta pare perfino surfi sull’antifrasi, figura retorica nobile. Ma boh, ora non esageriamo.

Voto 6,5.


Massimo Ranieri. Ci ricorda che la canzone italiana ha una storia difficile da cancellare, di esperienza canora, con una tradizione luminosa, che cantare è un mestiere, un’arte, è un lento labor limae. È un’officina di fatica e cultura, di cantautori e interpreti. E che lui di quella storia è un protagonista.

Voto 7.


Shablo. Vabbè, ammettetelo. Qui o siete sotto i 15 anni oppure prima di adesso non sapevate neanche chi fossero gli Shablo. Che dire, suonano quella roba lì, che piace tanto ai ggggiovani. Voto 4.


Elodie. Elegante. Ovviamente bellissima ma soprattutto teatrale. Elodie ha imparato a usare il palco e la canzone come se fossero una sceneggiatura, non è solo la voce a disegnare le emozioni ma anche il corpo. Che anche quando non è nudo parla. Una lezione a tutti i rosiconi benpensanti. Lei ci sa andare anche senza mostrarsi.

Voto 8.


Olly. Ora, è vero che l’abito non fa il monaco, però da uno che si presenta con la canotta e quelle braccia cattive e tatuate uno si aspetterebbe almeno uno spruzzo di funky, non pretendevamo i Red Hot Chili Peppers e Anthony Kiedis, sia mai. Ma un po’ di coerenza perdio.

Voto 4.


Rose Villain. L’outfit è da urlo, il pezzo è uno dei suoi, complesso, a onde variabili, mutevole, pieno di transizioni dal pop melodico alla quasi trap. C’è perfino un’aura soul. E poi lei è splendida e fuorilegge.

Voto 7,5.


Willie Peyote. Oh, un rap che ci getta d’improvviso in atmosfere anni ‘90. Willie è ironico, rispettoso, cita i maestri (Jova e J-Ax, un pizzico di Daniele Silvestri), diverte anche se non fa impazzire.

Voto 6.


Giorgia. Ci ha curato un po’ in effetti da tutta questa sbornia di brani sintetici e auto-intonati, di voci metalliche sul solito bum bum. Lei va su e giù come in poche sanno fare ormai, è una prepotente manifestazione di bravura. Anche se un po’ vintage, diciamolo.

Voto 7.


Achille Lauro. Ok, lo smoking ci aveva ben disposto. Ma confidavamo in qualcosa di più underground. Un po’ di neorealismo melodico da un romano della capitale violenta e profonda. Ok, è finita la stagione fluida, la primavera delle provocazioni. Ma sai fare di meglio, sai farci sussultare. Invece manco una scossetta.

Voto 5.


Marcella Bella. Ci piacciono un sacco le veterane toste e combattenti, ci piace tantissimo la rivendicazione dell’indipendenza e dell’atarassia femminista. Ma Marcella non è Loredana anche se vorrebbe.

Voto 5.


Simone Cristicchi. E niente, non è un influencer, non ha milioni di follower, non partecipa a dissing e articolate campagne di pre-promozione. Su Spotify non è un hype, ma Simone scrive poesie e le mette in musica. Questa sul soggetto più prevedibile e difficile del mondo, una mamma ammalata che ci sta lasciando. Lacrime piene di bellezza.

Voto 10.


Coma Cose. Signori, alziamoci in piedi. Cuoricini è una canzone esplosiva e geniale, con Fausto Lama e California l’indie irrompe al festival con una potenza che nemmeno i migliori Baustelle forse ci avevano regalato. Cuori in delirio.

Voto 9.


Irama. Aveva detto che stavolta, perdiana, avrebbe portato una canzone cruda. Che ci si era arrovellato, che era come un diario intimo. “Il tuo sorriso mi mastica”, canta il Baudelaire de noattri. Lentamente ci stavamo assopendo.

Voto 4.


Noemi. Ecco, sarà che sogno da una vita di ascoltare la voce graffiata, i sospiri rock e disperati di una canzone d’amore scritta come Dio comanda e soprattutto cantata come la canterebbe lui. Si è sempre detto, Noemi è la versione femminile del Blasco. E a me basta per adorarla.

Voto 8.


Rkomi. È uno dei primi della generazione autotune, canna tutte le vocali, a un docente di dizione farebbe venire l’orticaria. Il testo e il sound arrivano dalla trap e dall’elettropop. Insomma, storcete pure il naso. Ma lui potrebbe conquistare i miei figli. E quindi in qualche modo ha già vinto.

Voto 6.


Francesco Gabbani. Ha abbandonato i testi pieni di rime ganze, di concetti un po’ astrusi e pieni di parole ermetiche. Un po’ fa Vasco, un po’ catulliano, semplice e lirico. Occhio a Gabbani, che è un vecchio lupo e di festival ormai se ne intende. E sa vincerli.

Voto 7,5.


Gaia. Look impeccabile da Pocahontas dell’Amazzonia, emozionata che nemmeno una bimba allo Zecchino d’oro. Speravamo però avesse superato l’ebbrezza da hit dopo Sesso e samba. “Chiamo io chiami tu”. Anche no.

Voto 5.


Il festival
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