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Firenze, a 94 anni finisce in carcere: dopo l’indignazione pubblica arriva la decisione dei domiciliari

di Mario Neri
Firenze, a 94 anni finisce in carcere: dopo l’indignazione pubblica arriva la decisione dei domiciliari

Il caso di un detenuto ultra-novantenne a Sollicciano solleva indignazione. Il garante Fanfani: “Inumano. Il ministro della Giustizia intervenga subito”

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FIRENZE La storia di un ex editore e imprenditore condannato in via definitiva a 4 anni e 8 mesi per bancarotta fraudolenta, ha sollevato un’ondata di indignazione pubblica e istituzionale. A 94 anni, claudicante e in condizioni di salute precarie, era stato recluso inizialmente nel reparto clinico del carcere di Sollicciano, uno degli istituti penitenziari più critici d’Italia, noto per il degrado strutturale e le condizioni disumane di detenzione.

La vicenda ha scatenato un acceso dibattito sull’umanità e l’efficacia del sistema penitenziario italiano. Il Garante dei detenuti della Toscana, Giuseppe Fanfani, ha definito il caso “inumano e indegno di un Paese civile”, lanciando un appello diretto al ministro della Giustizia Carlo Nordio: “Sostenere che un 94enne sia socialmente pericoloso è assurdo. Questo sistema è malato”. Anche il Garante nazionale Maurizio D’Ettore ha ribadito la necessità urgente di riformare il sistema carcerario, promuovendo l’uso delle misure alternative come necessità giuridica e non come concessione.

In un primo momento, la richiesta di detenzione domiciliare era stata respinta dal magistrato di sorveglianza. La Corte d'appello aveva confermato la condanna senza che fosse presentato ricorso in Cassazione, rendendo la pena definitiva. Così, nonostante l’età avanzata e il bisogno di assistenza continua, l’ex imprenditore è stato rinchiuso a Sollicciano, dove ha vissuto per alcuni giorni in condizioni critiche, costretto a muoversi con l’aiuto di un altro detenuto.

La svolta è arrivata solo oggi, dopo il trasferimento all’istituto Gozzini, struttura a custodia attenuata conosciuta come “Solliccianino”. Questo passaggio ha permesso alla difesa – guidata dall’avvocato Luca Bellezza – di presentare nuovamente istanza per i domiciliari, accolta da un secondo magistrato di sorveglianza. Determinante, dunque, il cambio di sede e di competenza giudiziaria. Il giudice ha ritenuto compatibile la condanna con la permanenza a casa, ritenendo prevalente la necessità di tutela della dignità e della salute dell’imputato.

L’editore, noto per essere stato alla guida dell’Editoriale Olimpia – casa editrice attiva per decenni nella pubblicazione di riviste e libri dedicati a caccia, pesca e difesa personale – era stato condannato per il crac della società, avvenuto circa 15 anni fa. Le sue testate più conosciute, tra cui la rivista Diana, avevano raggiunto una notorietà nazionale.

Il caso riporta sotto i riflettori la necessità di un cambiamento strutturale del sistema penitenziario, non solo per garantire condizioni dignitose ai detenuti, ma per riaffermare il principio secondo cui la pena deve sempre essere coerente con la persona, non solo con il reato. “Il carcere non può essere solo un luogo di espiazione – ha detto Fanfani – ma deve tornare a essere un presidio di umanità”.

Il trasferimento ai domiciliari rappresenta una soluzione ragionevole, ma resta il segnale di un problema più ampio: quello di un sistema che fatica a distinguere tra giustizia formale e giustizia sostanziale, spesso cieco di fronte alla fragilità e all’età. Un sistema che oggi, grazie all’attenzione pubblica e alla determinazione della difesa, ha corretto una stortura. Ma che domani dovrà mostrare di saper cambiare davvero.

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