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Morte volontaria medicalmente assistita

Eutanasia e suicidio medicalmente assistito non sono la stessa cosa

Eutanasia e suicidio medicalmente assistito non sono la stessa cosa

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Per un periodo si è sentito molto parlare di eutanasia e suicidio medicalmente assistito, poi più niente. Sono la stessa cosa? E soprattutto si è arrivati a una conclusione? Le due pratiche sono entrambe consentite oggi in Italia? 
Carmine C.

No, eutanasia e suicidio medicalmente assistito non sono la stessa cosa. Ad oggi, in Italia l’eutanasia è ancora illegale, costituisce reato e rientra nelle ipotesi punite dall’art. 579 del Codice penale (“omicidio del consenziente”) e dall’art. 580 c.p. (“istigazione o aiuto al suicidio”), nei limiti oggi ridisegnati dalla sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale, se non addirittura nell’omicidio volontario qualora non si riesca a dimostrare la volontà libera e consapevole del malato. Diverso è il discorso per il suicidio medicalmente assistito che, a partire proprio dalla sentenza n. 242/2019, in presenza di determinate e rigorose condizioni, non è punibile. Allo stesso modo, è ormai pacificamente riconosciuto il diritto del paziente di rifiutare o interrompere i trattamenti sanitari, ai sensi della legge n. 219/2017, fattispecie spesso indicata nel linguaggio comune come “eutanasia passiva”, espressione oggi tecnicamente superata. La domanda sorge spontanea: qual è, dunque, la differenza tra eutanasia e suicidio medicalmente assistito? Nel caso dell’eutanasia, nei Paesi in cui essa è ammessa, dopo la verifica dei requisiti del paziente che ne fa richiesta e secondo procedure stabilite dall’ordinamento di riferimento, è direttamente l’operatore sanitario a somministrare al paziente il farmaco letale che pone fine alla sua vita. Il fine è quello di provocare intenzionalmente e in modo indolore la morte di una persona cosciente, informata e in grado di comprendere le conseguenze delle proprie decisioni. Si tratta, in ogni caso, di una pratica sottoposta a limiti estremamente stringenti e non uniformi nei diversi ordinamenti. A livello comparato, infatti, la disciplina dell’eutanasia e del fine vita è molto varia: nei Paesi Bassi, ad esempio, nei primi anni Duemila è stata approvata una legge che ha legalizzato l’eutanasia a condizioni rigorose, mentre molti altri Stati hanno scelto di disciplinare esclusivamente il suicidio medicalmente assistito senza intervenire sulla pratica dell’eutanasia attiva. Ma cos’è, allora, il suicidio medicalmente assistito? Occorre innanzitutto precisare che si tratta di un’espressione prevalentemente giornalistica: la definizione utilizzata dalla Corte costituzionale è quella di “morte volontaria medicalmente assistita”. In questo caso, la pratica consiste nell’autosomministrazione del farmaco letale da parte del paziente stesso; il medico non provoca direttamente la morte, ma si limita a prescrivere il farmaco e ad assistere il paziente nel percorso, secondo le modalità consentite. Anche qui è necessaria una richiesta libera e consapevole del paziente, che deve restare capace di intendere e di volere, nonché la verifica dei requisiti da parte delle strutture competenti del Servizio sanitario nazionale. In conclusione, ad oggi in Italia è consentito l’accesso alla procedura di morte volontaria medicalmente assistita solo al ricorrere di precise condizioni: la richiesta deve provenire dal paziente, capace di intendere e volere; il soggetto deve essere affetto da una patologia irreversibile; tale patologia deve causare sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili; la sopravvivenza deve dipendere da trattamenti di sostegno vitale. La richiesta può essere presentata in forma scritta alla struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale territorialmente competente. Spetta poi alla Asl verificare la sussistenza dei requisiti indicati dalla Corte costituzionale e accertare che la volontà dell’interessato sia stata manifestata in modo chiaro e univoco e che il paziente sia stato adeguatamente informato sulle proprie condizioni cliniche e sulle possibili alternative, come le cure palliative o la sedazione profonda continua, ove applicabili. Il tutto si inserisce in un quadro normativo e applicativo che presenta profili di incertezza e disomogeneità sul territorio nazionale.

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