L’ex capo di gabinetto licenziato chiede i danni: il tribunale di Firenze lo boccia
Fu sollevato dall’incarico in Regione durante l’inchiesta Keu nell’aprile 2021
FIRENZE. Licenziato nell’aprile 2021 durante l’inchiesta Keu, l’ex capo di gabinetto del presidente Eugenio Giani aveva citato in giudizio la Regione chiedendo il reintegro nel ruolo, il pagamento delle mensilità fino all’ottobre 2025 e un risarcimento danni di almeno 50mila euro.
Ledo Gori, 69 anni, di Pontedera, si è visto respingere su tutta la linea le richieste avanzate al Tribunale civile di Firenze, sezione lavoro. Gori, tra i 24 imputati nel processo che stenta a entrare nel vivo su presunte commistioni tra politica, imprenditori e società per smaltire il residuo delle concerie, all’epoca era il braccio operativo di Giani come lo era stato per anni dell’ex presidente Enrico Rossi. Un passato da amministratore nella città della Piaggio, una lunghissima carriera di uomo macchina. Una di quelle figure che restano nell’ombra al grande pubblico, ma ascoltano e vengono ascoltate, dalla politica alle associazioni di categoria, prima di chiudere accordi e risolvere problemi.
Legame fiduciario
Il senso della sentenza con cui è stato dichiarato infondato il ricorso è quello della discrezionalità della nomina. Scrive il giudice che «se l’incarico di responsabile dell’ufficio di gabinetto del presidente della giunta regionale è di natura strettamente fiduciaria, non residuano margini per esigere la motivazione (neppure in giudizio) dei correlativi atti di nomina, conferma o mancata conferma e per sindacarne la legittimità e tantomeno la opportunità, così come è avvenuto nella situazione di specie». Così come vieni nominato dalla politica, senza dover rendere troppe giustificazioni, allo stesso modo al venir meno del rapporto di fiducia puoi essere messo alla porta.
Il licenziamento
Gori venne licenziato con decorrenza primo maggio 2021 a quindici giorni dalla bufera giudiziaria e politica. Il 10 dicembre 2021 presentò il ricorso con cui chiedeva «l’annullamento dell’atto di revoca dell’incarico di responsabile dell’ufficio di gabinetto del presidente della giunta regionale e del contestuale licenziamento disposti in data 19 aprile 2021».
Storico uomo di fiducia di Enrico Rossi, Gori aveva ottenuto la conferma nel ruolo anche dopo l’elezione di Eugenio Giani nell’ottobre 2020. Dopo sei mesi, il terremoto con arresti e indagati eccellenti. I presunti favoritismi al mondo dei conciatori, alle prese con gli eterni ostacoli sulla regolarità negli smaltimenti dei residui di lavorazione, sono al centro del processo a carico anche dell’ex capo di gabinetto del governatore. A suo dire il licenziamento era viziato «da motivazione apparente, poiché l’atto di revoca dell’incarico e di licenziamento non presentava una motivazione valida e dettagliata e la Regione avrebbe agito basandosi sui sospetti della Procura e non su fatti accertati».
La sentenza
Gli argomenti di Gori sono stati respinti dal Tribunale perché «non tengono conto dell’autonoma rilevanza che normativamente assume, secondo il regime sugli incarichi fiduciari di diretta collaborazione, la determinazione, promanante dall’organo politico, di porre fine all’incarico suddetto per motivi di opportunità più o meno gravi (stante la gravità dei fatti attribuiti a nel decreto di perquisizione e sequestro notificato dalla Procura il 16 aprile 2021, plausibilmente valutati come incompatibili con il ruolo di capo di gabinetto), rispetto al procedimento disciplinare avviato successivamente il 7 maggio 2021».
Se la legge regola le nomine lasciando ampi margini a chi deve decidere a chi affidare ruoli di responsabilità, la disciplina giuridica «non può che confermare la presenza dei tratti spiccatamente fiduciari del rapporto di lavoro che si instaura direttamente con l’organo politico». Che, a sua discrezione, può procedere alle cessazioni degli incarichi per eventi «non correlati ad una specifica valutazione dell’attività svolta e senza applicazione delle necessarie garanzie procedimentali». Come ti ho assunto ti rimando anche a casa.