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Primo Maggio

Morti sul lavoro, dati choc dell'Inail: sono tre al giorno e non calano da 30 anni. Toscana oltre la media nazionale: le province più a rischio

di Francesca Ferri

	Morti sul lavoro: negli ultimi 30 anni in Italia non sono mai calati
Morti sul lavoro: negli ultimi 30 anni in Italia non sono mai calati

Rossi (Cgil): «Pochi controlli e tanta precarietà, ecco dove è il problema». Nella regione nel 2024 gli infortuni sul lavoro sono stati 45mila

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Oltre tre al giorno. Da trent’anni, senza accennare a diminuire in modo significativo, nonostante il progresso della tecnologia e le battaglie dei sindacati. Dagli anni Novanta ad oggi le statistiche sulle persone che perdono la vita lavorando non danno segno di miglioramento. Lo dicono i numeri dell’Inail. E lo dicono le cronache. In Toscana, a pochi giorni dalla ricorrenza del 1° maggio, lunedì scorso l’ennesima vittima nelle cave di marmo di Carrara. Si chiamava Paolo Lambruschi e proprio oggi, nella festa dei lavoratori che quest’anno dedica una particolare attenzione al tema degli infortuni sul lavoro, avrebbe compiuto 59 anni.

Consultando le serie storiche dell’Inail (Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro), che vanno dal 1951 al 2017, integrate con gli open data e le relazioni annuali, che contengono i numeri dal 2018 in poi, colpisce come fino a metà anni Settanta gli incidenti mortali sul luogo di lavoro siano stati oltre il doppio rispetto ad oggi: 3.511 nel 1951, costantemente sopra i 3.700 fino al 1960, oltre 4mila tra il 1961 e il 1964, con il record nero del 1963: 4.644 vite spezzate.

La tendenza si è invertita dalla seconda metà degli anni Settanta quando si è passati dai 3.057 del 1974 ai 2.467 del 1979. E, a parte il 1980, quando sono morte sul lavoro 2.565 persone, negli anni successivi si è scesi fino ai 1.666 del 1982. Dopo un nuovo peggioramento tra il 1983 e il 1989, in cui il numero di morti è aumentato in modo costante fino ai 2.559, a partire dal 1990 c’è stato un assestamento, proseguito fino ad oggi, con la sola eccezione del periodo pandemico, 2020-2021, in cui i decessi sono aumentati a 1.567. Nel decennio 1990-1999 sono morti in media 1.603 lavoratori all’anno; nel 2000-2009 1.312; nel 2010-2019 1.292.

Nell’ultimo triennio, infine, la media si è attestata a 1.113 morti all’anno: 1.208 nel 2022, 1.041 nel 2023 e 1.090 nel 2024.

La tendenza è in discesa, è vero. Ma qual è il numero “accettabile” di morti sul lavoro, se non il numero zero? E perché non ci si è ancora arrivati?

«Purtroppo da diverse decine di anni la media è di circa tre morti al giorno, ed è come scolpita nel marmo», spiega Rossano Rossi, segretario regionale della Cgil Toscana. «E non va dimenticato il numero di incidenti che tralasciano feriti e mutilati, e quello delle malattie professionali. A momenti la Cina, che sta facendo passi da gigante anche su questo fronte, ci passerà avanti».

Proprio la Cgil martedì ha divulgato i dati regionali: nel 2024 in tutta la regione 49 persone hanno perso la vita mentre svolgevano il proprio lavoro, sedici in più rispetto all’anno prima. E a fine aprile 2025 i morti sul lavoro sono già 21, inclusi cinque in itinere.

La Toscana si è “guadagnata” il bollino arancione, tra le regioni italiane in cui gli incidenti fatali sono oltre la media nazionale: 4,8 morti per milione di occupati contro i 4,2 a livello nazionale. Pistoia, Massa Carrara, Siena, Firenze e Lucca, le province più a rischio.

Non vanno meglio gli infortuni, che nel 2024 in Toscana sono stati 45mila, circa 120 al giorno, contro i 35mila del 2023 (+28,5%). Il settore più a rischio è quello delle attività manifatturiere: nei primi due mesi del 2025 è stato interessato da 692 denunce.

«Perché si continua a morire? Io penso che sia il combinato di due ragioni», spiega ancora Rossi. «La prima è che manca una serie di cose concrete: i controlli, visto che quando vengono fatti il 70% delle aziende risultano irregolari; il numero di coloro che fanno controlli, cioè Asl, carabinieri, Ispettorato del lavoro, perché il personale è diminuito, e la sinergia tra chi fa questi controlli; le leggi, che dovrebbero essere più dure. La seconda ragione è la frammentazione, la deregolamentazione e lo svilimento del mondo del lavoro, che ormai non riesce più ad avere le caratteristiche che servono. Le condizioni dei lavoratori sono così precarie che sono un pericolo di per sé. Se si somma la povertà dilagante alla frammentazione del lavoro, si finisce per essere costretti ad accettare un qualsiasi lavoro. Per questo, come Cgil, crediamo fermamente nel referendum dell’8 e 9 giugno».

I quesiti riguardano licenziamenti, durata dei contratti e sicurezza sul lavoro. «E voglio aggiungere: tutti i governi hanno concorso ad arrivare alla situazione attuale. Altro che Repubblica fondata sul lavoro...».


 

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