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L'analisi

Zaini, container, formichine e persino sottomarini: così la droga entra in Toscana dal porto di Livorno

di Federico Lazzotti

	Il sottomarino sequestrato che portava cocaina e Francesco Guerra
Il sottomarino sequestrato che portava cocaina e Francesco Guerra

L’analista spiega percorsi e tecniche dei trafficanti. "Il futuro? I sottomarini"

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Zaini imbottiti con chili di droga sottovuoto e dotati di Gps per essere recuperati in mare o lungo la costa; container ombra dove la cocaina è nascosta tra polvere di cacao, banane o legname. Ma anche le cosiddette formichine, capaci di trasportare quantità minori di sostanza oltre confine, in forma liquida oppure ingerendo ovuli. Il traffico internazionale di droga ha molti volti, strategie e percorsi. 

Lo sa bene Francesco Guerra, 46 anni, pisano, esperto di narcotraffico, autore di libri e articoli, analista e docente del Centro Studi AMIStaDeS di Roma per quanto riguarda il crimine organizzato in America Latina. «Le ultime frontiere – dice – sono i carichi di droga sistemati da esperti sommozzatori sotto le chiglie delle navi, o dentro sottomarini capaci di immergersi al largo del Sud America, magari partendo da porti fluviali, e riemergere in Europa, come successo poche settimana fa quando uno di questi è stato individuato a 500 miglia dal Portogallo con sei tonnellate e mezzo di droga».


Professore, nel suo libro “Di Brasile e America Latina. Storie di politica, (in) giustizia, narcos e pandemia” è sceso nell’inferno di questo sistema criminale, che cosa ha visto?

«Prevalentemente mi occupo di studiare il Primeiro Comando da Capital, il Pcc, l’organizzazione criminale brasiliana e una delle più potenti del Sud America che gestisce il traffico di stupefacenti con l’Europa. Parlando con alcuni membri di questa organizzazione posso dire che si tratta di un gruppo tentacolare, molto specializzato e strutturato in cellule. In Italia sono legati alla’ndrangheta. Il Pcc, come altre, è una struttura altamente organizzata perché hanno capacità nel tessuto economico attraverso ingentissimi guadagni. Pensate che un chilo di droga costa 25. 000 euro».

Ma sono anche molto fantasiosi perché ogni volta trovano un modo diverso per portare la droga in Europa...

«Le tecniche sono innumerevoli ma tutte hanno la necessità di avere dei collaboratori all’interno delle autorità portuali di partenza e di arrivo. E qui torniamo alla forza economica di queste organizzazioni capaci di convincere le persone che hanno posizioni che a loro fanno comodo».

Come mai il porto di Livorno è un crocevia della droga?

«Le ragione sono molteplici. A mio avviso è nevralgico perché è in un’ottima posizione a livello europeo. I carichi che arrivano qui possono essere smistati sia a livello nazionale che internazionale. Pensate alle gradi città italiane oppure al Nord Europa. Ricordiamoci che i narcotrafficanti hanno un’attenzione maniacale ai costi, niente è improvvisato. Poi un porto può essere più o meno controllato o con più o meno collaboratori. Ma a fare la differenza è soprattutto il punto strategico, vicino al confine, come Genova».

Il traffico di droga somiglia molto al doping dove chi controlla è spesso due o tre passi indietro rispetto a chi delinque. È d’accordo?

«Assolutamente sì, per questo bisognerebbe tornare a discutere sulla regolamentazione delle droghe pesanti e leggere. La contraddizione è che esiste un mercato al di là che sia legale o illegale. Il problema è che quando non regolamenti si autoregolamenta da solo con strutture parastatali gestite da organizzazione criminali. Anche a livello di salute così è più rischioso. La cocaina che arriva viene poi tagliata con altre sostanze che nessuno controlla e che viene usata dai clienti. Se fosse droga di stato questo problema non ci sarebbe».

Qual è a suo avviso il futuro del narcotraffico?

«Sicuramente sfrutterà il più possibile le nuove tecnologie presenti sul mercato perché possono permetterselo. A cominciare dalle criptovalute per riciclare il denaro. A livello di organizzazione si va sempre più verso un funzionalismo criminale, da un lato, e consorzi del narcotraffico, che si organizzano tra loro, dall’altro. All’interno, ogni struttura è verticistica e al tempo stesso funzionale e perciò resistente. Anche agli arresti». l


 

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