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L’intervista

Fine vita, Paolo Malacarne: «Una legge regionale per rendere uguali le procedure»

di Maria Meini

	Paolo Malacarne
Paolo Malacarne

Il dottor Paolo Malacarne: «Sono credente e favorevole alla norma come l’Accademia pontificia. Peccato non aver rinnovato la commissione bioetica»

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Dottor Malacarne, si parla molto in questi giorni di fine vita, perché il 10 febbraio si voterà in consiglio regionale la proposta di legge della Toscana sul suicidio medicalmente assistito. Un tema su cui si sono aperte molte divisioni e scontri politici. Perché secondo lei è così difficile parlarne?

«È difficile parlarne perché sono temi che mettono a dura prova la nostra coscienza. Ci sono persone in perfetta buona fede che la pensano in modo diverso; e ce ne sono altre in malafede che sfruttano questi temi per la loro propaganda politica».

Lei nel 2023 ha seguito il caso di un malato che ha scelto il suicidio medicalmente assistito, sostenendo che aiutare a morire una persona che non ha altro modo per terminare la propria sofferenza «è una parte della relazione di fiducia tra medico e paziente e la sua famiglia».

«Ho seguito questo caso, all’interno del sistema sanitario pubblico, sulla base della sentenza della Corte costituzionale 242 del 2019, conosciuta come sentenza sul dj Fabo. La quale indica 4 condizioni per le quali è consentita la morte assistita: la persona che ne fa richiesta deve essere perfettamente capace di intendere e di volere, deve avere una patologia irreversibile, che le provoca gravi sofferenze fisiche o psichiche e deve sopravvivere grazie a trattamenti di sostegno vitale. Se ci sono questi 4 requisiti, il medico che aiuta la persona non è penalmente perseguibile».

A cosa serve allora una legge regionale?

«La sentenza non entra nel merito delle procedure amministrative da seguire dopo che il Sistema sanitario pubblico ha accertato l’esistenza dei 4 requisiti. La legge regionale vuole rendere uguale per tutti la procedura: fissare i tempi entro cui i comitati etici delle Asl devono dare una risposta; se l’Asl dice no, come e in che tempi la persona può fare ricorso; se i farmaci del fine vita li fornisce l’Asl o li deve pagare il privato. E se sono ospedalieri in che modo può procurarseli. Senza una legge regionale di questo tipo ogni Asl va per conto proprio».

Lei, professore, è stato direttore dell'Unità Operativa Anestesia e Rianimazione dell'ospedale Cisanello di Pisa. Fa parte della Consulta bioetica italiana e del Comitato per l’etica clinica della Toscana. Come si pone la classe medica di fronte al tema del fine vita?

«Il codice deontologico dice che il medico in nessun modo deve favorire la morte delle persone, quindi neanche con i trattamenti medicalmente assistiti. E l’art. 580 del Codice penale stabilisce che è reato l’aiuto al suicidio. Ma con la sentenza della Corte Costituzionale del 2019, in presenza delle 4 condizioni suddette, il medico non è perseguibile. In qualche modo la sentenza depenalizza. Ma serve stabilire anche come i farmaci e le attrezzature in caso di morte medicalmente assistita devono essere reperite, se dal Ssn, o in proprio. Perché ci sono farmaci per bocca che si possono prendere in farmacia, e farmaci per via endovenosa di solo uso ospedaliero. Chi deve fornirli? Nel 2023 l’Asl non li ha forniti. In altre regioni li ha forniti il sistema sanitario pubblico. In questo momento in Toscana ci sono due casi, uno nell’Asl Centro e l’altro nell’Asl Nord Ovest, che dopo l’autorizzazione sono in attesa di sapere come procurarsi i farmaci in via endovenosa».

Com’è la legislatura in altri Paesi d’Europa?

«In alcune Paesi il suicidio medicalmente assistito è stato depenalizzato, come in Svizzera, dove però è consentito in cliniche a pagamento».

Un tema molto delicato, come lei dice. Ci spiega la sua posizione?

«Io sono credente e sono favorevole al fine vita. Perché? Sono in buona compagnia: la Pontificia Accademia della vita nei suoi recenti documenti dice che, siccome siamo in una società pluralista, deve esserci spazio di mediazione giuridica. Il che significa che per ritrovarci in questo aspetto legislativo dobbiamo aprire a modalità di legalizzazione. Sento dire dai vescovi toscani che sono contrari a una legge, per me questo è sbagliato. Aiutare a morire una persona che ha un unico modo per terminare la propria sofferenza, da parte di un medico fa parte della relazione di fiducia con il paziente e la sua famiglia. Credo che la legge debba fissare una linea di confine che tuteli i fragili - nessuno deve essere indotto al suicidio per ragioni economiche, o perché si sente un peso - e lasciare uno spazio di relazione, di cura e di fiducia. È sbagliato anche contrapporre le cure palliative al suicidio medicalmente assistito. È disonestà intellettuale, perché sappiamo bene che anche laddove ci sono le cure palliative c’è sempre una percentuale di persone che sceglie il fine vita. Un’ultima osservazione: che la destra, salvo lodevoli eccizioni, sia contraria a una legge non mi meraviglia, già nel 2019 Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Noi moderati votarono contro il testamento biologico. Mi dispiace molto però che la mia parte politica abbia fatto certe scelte. In questa legislatura il presidente Giani non ha rinnovato, senza alcuna spiegazione, la Commissione regionale di bioetica, e questo è un errore. Perché la Commissione avrebbe avuto un ruolo importante nella discussione sulla legge».
 

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