La cultura è un bene che produce ricchezza eppure il governo fa di tutto per affossarla
I numeri parlano chiaro, e a volte raccontano storie drammatiche. I nostri cari vecchi prefissi telefonici, con lo zero e qualche cifra sparsa, sembrano avere più consistenza delle percentuali che il governo nazionale dedica alla cultura. Gli ulteriori tagli al Fondo unico per lo spettacolo firmeranno la conclamazione del dramma. Una realtà sconcertante, i cui effetti si manifestano con disarmante evidenza: chiusura di librerie ed edicole, festival che si spengono, cinema e teatri che soffrono. Il risultato? Un impoverimento culturale che ci rende più tristi, più vulnerabili al fascino spesso vuoto degli influencer e alle chimere dei reality show. Ma questo non può succedere in Italia, il Paese con il più grande patrimonio artistico al mondo, e meno che mai in Toscana, che ne è principale culla. Un immenso patrimonio che il nostro Paese con fatica custodisce e nel contempo amplifica, affiancando alla memoria la produzione di sempre nuove eccellenze artistiche contemporanee. Siamo di fronte, invece, ad una grande ipocrisia, se non imbroglio, perché dopo settimane in cui il governo ha fatto un gran parlare della sua attenzione al patrimonio ed alla produzione artistica, alle mostre come “Il Tempo del Futurismo” inaugurata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e del potere rivoluzionario dell’arte, ha poi fatto tutto il contrario. Considerando le già scarse risorse destinate al ministero della Cultura, non ci si aspettava che gli stanziamenti scendessero ancora dallo 0,4% del 2024 allo 0,3% sul totale per una riduzione annua di 147 milioni per il 2025, 178 per il 2026 e addirittura 204 per il 2027. E se «con la cultura non si mangia», era il riluttante slogan coniato dall’allora ministro Brunetta che evidentemente sognava un Paese pasciuto con l’ignoranza, questo governo ne affina l’eredità. Il rischio è mortificare enormi opportunità di crescita di sviluppo e lavoro, in particolare per le nuove generazioni che in realtà dovrebbero essere la nostra priorità. Il progetto sul credito agevolato, sulla casa, sulla scuola e sul lavoro. Per le nuove generazioni tutto ciò non può non riguardare anche la cultura. E la Regione Toscana, anche nella cultura, che non potrà essere «un Paese per vecchi», dovrà farsi carico, ancora una volta, della mortificante miopia dei tagli del governo per dare risposta alle mille richieste di soccorso, per inventarsi una nuova strategia di cultura come bene economico. Attivare un patto che unisce istituzioni e privati nello sviluppo culturale come prova a fare quell’Art bonus regionale così mirato ai progetti toscani. Vogliamo guardare a una società curiosa e desiderosa di esprimere propri talenti, di conoscere e amare le altre culture, di trovare nella vivacità culturale anche il superamento delle paure dei singoli, di ciò che è diverso o che non si conosce. Investire in cultura significa trasformare queste paure in opportunità e, perché no, allontanare i venti dell’intolleranza. La cultura è un settore in crisi ma che può produrre ricchezza. Noi toscani possiamo e dobbiamo dire la nostra, dobbiamo sostenere quella linea fissa che ci lega indissolubilmente al vivace mondo della nostra produzione culturale. Da cui rispondere, anche senza prefisso telefonico.
*scrittore e attivista per i diritti