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Crollo Esselunga Firenze, il soccorritore a un mese dalla tragedia: «Non potrò mai dimenticare le urla e gli sguardi terrorizzati degli operai»

di Martina Trivigno
Crollo Esselunga Firenze, il soccorritore a un mese dalla tragedia: «Non potrò mai dimenticare le urla e gli sguardi terrorizzati degli operai»

Garzi è stato uno dei primi soccorritori in via Mariti: «Come un terremoto»

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FIRENZE.«È stato come un terremoto, una scossa devastante in un unico punto. L’abbiamo capito subito che si era consumata una tragedia. Quelle grida e gli sguardi terrorizzati degli operai scampati al disastro non potrò mai dimenticarli». L’ambulanza viaggia a sirene spiegate ed evita il traffico che è molto intenso a quell’ora. Mancano pochi minuti alle 9, è il 16 febbraio.

Niccolò Garzi, 26 anni, autista soccorritore dell’Humanitas Firenze nord, sta guidando. Impiega quattro minuti a raggiungere via Mariti. Il suo equipaggio è uno dei primi ad arrivare. Lì, in quel cantiere dove è in costruzione un supermercato Esselunga, una trave in cemento di 20 metri e pesante circa cinque tonnellate è da poco collassata. All’improvviso, una voragine di detriti e cemento inghiotte tutto e spezza cinque vite: Luigi Coclite, 59 anni, di Collesalvetti, Taoufik Haidar, 43, del Marocco, Mohamed El Farhane, suo connazionale di 24 anni, Mohamed Toukabri, tunisino di 54 anni, e Bouzekri Rahimi, 56, originario del Marocco.

Cosa ricorda di quel giorno a distanza di un mese?

«Ero di turno la mattina, stavamo rientrando da un altro intervento. Ci trovavamo nel centro di Firenze quando abbiamo ricevuto una nota dalla centrale operativa. Sospetto crollo di un ponteggio, diceva».

Poi cosa è successo?

«In circa quattro minuti siamo arrivati sul posto, in via Mariti. Ricordo che ascoltavo gli aggiornamenti alla radio, lo sguardo concentrato sulla strada, pronto a schivare auto e motorini. Poi, dalla centrale, le parole che nessuno avrebbe mai voluto sentire: “Sotto le macerie ci sono delle persone”. Ecco, lì abbiamo capito che non si trattava di un ponteggio, ma di uno stabile. Era successo qualcosa di grosso».

Cosa ha visto quando è arrivato in via Mariti?

«C’era un grande caos. Ricordo gli operai: erano terrorizzati e urlavano, ci indicavano che c’erano persone rimaste sotto, imprigionate. Il primo operaio lo abbiamo trovato in piedi, in stato di choc. Era caduto anche lui, come gli altri. È stato più fortunato, però: era ferito, ma vivo».

A quel punto si è messa in moto la macchina dei soccorsi?

«Il codice diramato era di massima priorità. Siamo arrivati con l’equipaggio di un’altra ambulanza e poi, a ruota, si è attivata tutta la catena: in 10-12 minuti, sul posto, sono arrivati altri mezzi, un paio di ambulanze e, all’inizio, un’automedica del 118».

Sul momento che sensazione ha avuto?

«Come se ci fosse stato un terremoto, ma soltanto in quel punto perché, intorno, i palazzi erano intatti. I minuti passavano e ci rendevamo sempre più conto della gravità della situazione: quando siamo arrivati, infatti, sapevamo che alcune persone erano rimaste bloccate sotto le macerie, ma non sapevamo quante».

Come siete risaliti al numero di quelli che, in un primo momento, erano dei dispersi?

«Le forze dell’ordine facevano l’appello in base alle liste che avevano e agli operai che avevano varcato il cancello del cantiere quella mattina. Così, grazie alla collaborazione dei colleghi, abbiamo capito che mancavano all’appello otto persone. Lì è iniziata la parte più difficile: le operazioni di recupero sono state molto lunghe, sono andate avanti per cinque giorni prima di riuscire a trovare tutti i lavoratori, di cui cinque senza vita purtroppo».

Lei di cosa si è occupato sul momento?

«All’inizio del triage poi, quando è stato trovato il secondo operaio in vita, lo abbiamo trasportato con la nostra ambulanza al policlinico fiorentino di Careggi».

Cosa le è rimasto più impresso?

«Tutto. Ricordo ogni istante, l’adrenalina e la tensione non mi hanno mai abbandonato. Se un volontario alle prime armi si fosse trovato lì quel giorno, penso che per lui sarebbe stato difficile continuare. E poi non posso dimenticare gli sguardi degli operai. Chi era lì ha assistito a tutto, alcuni di loro possono considerarsi vivi per miracolo. Il loro era lo sguardo di chi è sopravvissuto».


 

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