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L’intervista

Festa della Toscana, lo storico: «Il Granducato primo laboratorio dei diritti umani»

di Danilo Renzullo
Festa della Toscana, lo storico: «Il Granducato primo laboratorio dei diritti umani»

Nel dibattito illuminista la tortura era considerata più inumana e irrazionale della pena di morte. Pietro Finelli, direttore della Domus Mazziniana di Pisa, evidenzia il ruolo riformista dell’azione di Pietro Leopoldo che trasformò il Granducato in uno Stato moderno nel contesto europeo.

29 novembre 2022
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«Un atto conveniente solo ai popoli barbari». Era il 1786. Il Granducato di Toscana, marginale nel contesto europeo, diventa un laboratorio del dispotismo illuminato. Facendo dei diritti civili, dell’eguaglianza e della riduzione delle discriminazioni i punti fondanti di uno Stato ispirato ai principi della ragione. Con un sovrano, Pietro Leopoldo, a guidare una stagione di riforme che il 30 novembre 1786 culmina con un atto eclatante, l’emanazione della Riforma Penale con la quale viene abolita la pena di morte, considerata dal futuro imperatore «un atto conveniente solo ai popoli barbari». Ma non solo. «Alla base c’era l’idea di modernizzazione della società», sottolinea il professor Pietro Finelli, direttore della Domus Mazziniana di Pisa. «Idea che passò anche dall’affermazione della dignità umana».

Professore, come il Granducato è arrivato alla Riforma?

«Quando Pietro Leopoldo diventa Granduca della Toscana è consapevole di essere un sovrano a tempo di uno Stato che si presta ad essere per le sue dimensioni e caratteristiche laboratorio del dispotismo illuminato. C’è innanzitutto l’idea “di stesso Stato, stessa legge” e quindi di superare le caratteristiche dell’antico regime che differenziava tra territori, tra tipologie di cittadini e sudditi. Un campo estremamente importante dell’azione di Pietro Leopoldo fu ad esempio quella che viene definitiva la “prima emancipazione degli ebrei”, una serie di riforme che portarono a ridurre enormemente le discriminazioni che subiva la comunità ebraica. O ancora: la riforma con cui vennero uniformate, accorpate e razionalizzate le comunità territoriali della Toscana, sottoposte ad un regime giuridico omogeneo per superare tutti i particolarismi locali. All’interno di questo contesto si colloca la riforma delle leggi penali di cui l’elemento più importante, quello attorno a cui si è costruito il “mito” del riformismo leopoldino, è sicuramente l’abolizione della pena di morte».

Riforme che portano all’abolizione della pena di morte, ma anche all’introduzione di importanti nuovi istituti che fanno della Toscana uno Stato all’avanguardia. Una sorta di apripista per i diritti civili.

«Riforme che oltre all’abolizione della pena di morte contengono altri importanti passaggi, ad esempio la soppressione della tortura, l’introduzione di forme di gratuito patrocinio per chi non poteva pagarsi la difesa nei processi e quello che tutti conosciamo dai film americani sul quinto emendamento e cioè che nessuno può essere chiamato a testimoniare contro sé stesso. Una serie di passaggi che si legano all’idea di fare della Toscana il laboratorio sperimentale di quel movimento illuminista che aveva avuto nei decenni precedenti applicazioni in Stati più grandi, ma in cui spesso la collaborazione tra sovrani e collaboratori non era finita nel migliore dei modi. Pietro Leopoldo può invece contare sul movimento illuminista italiano, estremamente importante non solo a livello di intellettuali, ma anche di amministratori. Pietro Leopoldo può contare ad esempio su Pompeo Neri nell’attuare le sue riforme. Quindi un’idea di modernizzazione della società da parte dello Stato che non riguarda solo i filosofi e gli intellettuali, ma condivisa anche dalla “macchina amministrativa” che, come oggi, doveva rendere le riforme non solo una dichiarazione di principio, ma qualcosa di realmente applicabile. Nel caso dell’abolizione della tortura e della pena di morte, la volontà di rendere concreta la riforma fu evidente con la decisione, simbolica e materiale al tempo stesso, di distruggere fisicamente le forche e gli strumenti di tortura. In ogni territorio dove questi erano presenti vennero realizzati roghi per bruciare e rendere materialmente impossibile quelle pratiche. Un peso simbolico fortissimo per i sudditi, abituati a vedere un potere presente attraverso questi strumenti. Lo stesso potere che si privava volontariamente e condannava al rogo l’idea stessa della pena inquisitoria, a partire dalla tortura».

Perché la tortura aveva un “peso” simbolico maggiore?

«Nel dibattito illuminista era considerata ancora più inumana e irrazionale della pena di morte. Questa era quasi giustificabile in un’idea di giustizia retributiva, mentre la tortura non era e non è mai accettabile. E questo è un altro lascito molto importante perché c’è l’affermazione della dignità dell’essere umano, che non può essere sottoposto ad una sofferenza, un dolore e ad una violenza sul suo corpo immotivata e ingiustificata».

Pietro Leopoldo riuscì anche a fare della Toscana, Stato considerato abbastanza periferico nel contesto europeo, uno Stato moderno. Probabilmente il primo, moderno, Stato.

«Attuò riforme mettendone in campo altre, senza mai attuarle. Immaginò un sistema di rappresentanza consultiva, una sorta di proto-parlamento e addirittura avviò un progetto di Carta costituzionale per il Granducato. Sicuramente un modernizzatore, ma legato ad un’idea paternalista dello Stato. La grande scommessa dell’illuminismo riformatore fu quella di uno Stato che guardava ai sudditi come figli e non come cittadini».

Azione, quella del Granduca, che attirò però anche molte proteste. E non fu priva di aspetti controversi, né di uno “scontro” con la Chiesa.

«L’azione di Pietro Leopoldo non fu scevra di contestazioni. Prima di abbandonare la Toscana e andare a Vienna (dove fu incoronato Imperatore) ripristinò ad esempio la pena di morte, seppur in maniera limitata a causa di una serie di rivolte che a livello popolare contestavano la sua azione politica. Il parto violento della modernità e gli aspetti più controversi dell’azione riformatrice di quegli anni provocarono inoltre un turbolento rapporto con la Chiesa cattolica perché oltre alle sue convinzioni, un’eguaglianza giuridica dei sudditi e il rifiuto delle discriminazioni sulla base dell’appartenenza religiosa, Pietro Leopoldo era convinto della superiorità dello Stato sulla Chiesa. Fu quindi duramente contestato e anche i suoi successori dovettero fare qualche passo indietro».

Una “vivace” azione riformatrice che porta alla nascita di uno Stato moderno e “civile”. Quale è stata la portata di quel periodo?

«Pietro Leopoldo incarna uno dei momenti più alti della via italiana alla modernità “un Settecento riformatore”, per riprendere la celebre definizione di Franco Venturi, legato all’Illuminismo che, scontrandosi con l’esperienza rivoluzionaria francese, resterà una sorta di utopia. Un mondo che ci sarebbe potuto essere e che poi non si è mai materializzato. Il lascito più forte e importante è che l’Italia resterà a lungo all’avanguardia nella difesa dei diritti civili con alla base l’idea di una funzione educativa della pena. Una lunga storia, tanto che il Codice Zanardelli, il codice penale del Regno d’Italia del 1889, sarà uno dei pochissimi in Europa a sancire l’abolizione della pena di morte, fino ad arrivare ai tempi più recenti con l’Italia protagonista della moratoria internazionale sulla pena di morte decisa dall’Onu in nome di quei valori che Cesare Beccaria aveva affermato alla metà del Settecento e che avevano trovato la prima attuazione nella decisione di Pietro Leopoldo di abolire la pena di morte nel 1786».  l

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