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Scandalo della ritmica, quel confine tra correggere e umiliare per non spingere verso l’anoressia

di Chiara Ricci
Scandalo della ritmica, quel confine tra correggere e umiliare per non spingere verso l’anoressia

Tutto è partito dalle dichiarazioni di Anna Basta, ex "farfalla" azzurra, classe 2001, che ha trovato la forza di raccontare le violenze subite. L'articolo di una studentessa del liceo Majorana di Capannori che aderisce al progetto del Tirreno "Scuola 2030"

23 novembre 2022
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Tutto è partito dalle dichiarazioni di Anna Basta, ex “farfalla” azzurra, classe 2001, che nelle scorse settimane ha raccontato le estenuanti violenze fisico-psicologiche subite in preparazione all’Accademia Federale di ginnastica ritmica di Desio.«Ho pensato al suicidio», ha detto. Subito dopo è intervenuta anche la compagna, e amica, Nina Corradini, classe 2003. «Mangiavo sempre meno, ma ogni mattina salivo sulla bilancia e non andavo bene», ha ricordato del periodo di a Desio. Entrambe le atlete erano adolescenti, minorenni, quando hanno vissuto questo incubo. Eppure l’incubo è durato per anni, ogni volta per tutti gli undici mesi di ritiro, vedendo la famiglia, se andava bene, appena una volta al mese. Le loro testimonianze, e gli esposti di due atlete bresciane, hanno scoperchiato un vaso di Pandora.

Le ginnaste sono consapevoli che la ritmica è uno sport di sacrifici, che richiede allenamenti rigorosi, di almeno otto ore, con parametri molto poco elastici soprattutto riguardanti il peso.

Come spiega la capitana della squadra Nazionale, Alessia Maurelli, medaglia di bronzo a Tokyo, quattro volte oro ai mondiali: «Ti fai davvero un mazzo tanto ogni giorno, da una vita per una disciplina così disumana e subdola?». E ancora: «Io mi reputo molto fortunata di essere cresciuta in un ambiente sano, a Ferrara, in una società nella quale sono stata educata alla disciplina, al rigore, e al rispetto del mio corpo».

La tecnica della Nazionale, Emanuela Maccarani – che è stata sentita in questi giorni in procura e dai giudici federali – nel suo libro “Questa squadra” del 2016 scriveva: «Non ero una ginnasta molto sciolta, a dirla tutta, ma credo mi scelsero per la coordinazione e per la mia caratteristica di lavoratrice assidua e molto testarda».

C’è dunque una sola distinzione da fare, quella tra rigore e violenza.

C’è, o ci deve essere, un limite percepito, tra il correggere e l’umiliare, e tra la consapevolezza dei canoni internazionali sul peso e lo spingere a usare lassativi per dimagrire, o l’offendere se non addirittura il picchiare affinché si sviluppi una fisicità innaturale e tutt’altro che sana.

Il fisico della ginnasta è costantemente stressato a fare di più; a questo sforzo richiesto non si può aggiungere un peso inadeguato o un’alimentazione squilibrata, altrimenti si incorrerà in infortuni, talvolta irreparabili; tutto senza considerare il danno psicofisico che si crea nella ragazza che subisce gli abusi, che si spingono sino a gravi disturbi del comportamento alimentare.

È dunque giusto e necessario aprire inchieste e indagare su questi presunti abusi, capendo però che la ginnastica ritmica è uno sport di rinunce, assai severo. L’orrore, però, è l’eccezione, non la regola.

Studentessa di 16 anni del liceo Majorana di Capannori (Lucca)*
 

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