Tennis, alle Atp Finals Djokovic è perfetto: un super Sinner non basta
Torino, prestazione irreale dell’asso serbo che vince il suo settimo Masters. Delusione per l’Italia del tennis, Sinner ancora lontano dal numero 1
TORINO. Abbiamo visto “il” tennis, la perfezione atterrata tra righe, nastro e rete. Se esiste l’Assoluto nello sport, si chiama Novak Djokovic. Oltre la sabbia che scorre nella clessidra, oltre le legioni di talenti che ne vogliono usurpare il trono, oltre gli spettri di Nadal e Federer. Oltre i 12mila di Torino che gli tifano contro e un Paese intero che davanti allo schermo spera nel crollo che mai arriva.
Djokovic resiste a tutto, mostra miracoli e sparge pepite d’oro davanti al ragazzo che l’Italia ha adottato. Il cuore non basta davanti alla perfezione, al Mostro che disegna traiettorie che non si potrebbero immaginare se non fossero lì, sotto gli occhi attoniti di Jannik e del suo popolo deluso. Bolidi e arazzi sgorgano da quelle corde: settimo Master vinto, 24 Slam, numero uno del mondo da quanto la televisione era in bianco e nero, cosa puoi fare se non alzarti, applaudire e continuare ad imparare, caro Jannik.
Tutto sfuma in un’ora e mezzo di lezione: la scenografia da concerto rock, tra stroboscopi, rock a palla, i Vip come se piovesse, gli chef stellati e politici, gli ex calciatori e tutto il gotha dell’italica racchetta. Torino e le televisioni fanno le cose per bene, non manca nemmeno il classicissimo collegamento da San Candido, lindo paesino che lambisce l’Austria e che ha dato il natali al nuovo eroe. Che salto fa il tennis: lo consideravano sport d’elite, chiuso in circoli inarrivabili per i più, adesso deborda da ogni teleschermo, palpita in ogni smartphone.
C’è aria da finale Mondiale della nazionale di calcio, e non sembri lesa maestà: abbiamo un disperato bisogno di icone, di totem, di esempi che riscattino il momento non proprio indimenticabile del nostro sport. L’Italia pallonara mendica un posticino all’Europeo, volley e basket rischiano di essere respinti con perdite da Parigi 2024, un ciclista italiano non vince più una corsa da lustri, Federica Pellegrini adesso fa la mamma, Valentino Rossi è un ricordo, Alberto Tomba è un placido cinquantenne, la Ferrari fa i salti di gioia quando arriva seconda.
E allora eccolo qui il nostro possibile riscatto, il giunco pel di carota, figlio ideale per le mamme italiche, bravo e lavoratore, serio e scrupoloso, ma benedetto ragazzo ridi un po’ di più, verrebbe da dirgli che la vita ti sta sorridendo a 32 denti. Ma poi c’è il campo che presenta il conto. Salatissimo. Al ristorante Djokovic ti siedi, impari, paghi un conto stratosferico e ti alzi con la fame. I piatti ti arrivano con lentezza, non li hai ancora assaggiati che il mefistofelico chef di Belgrado te li fa sparire dalla tavola e se li gusta lui.
Quasi il novanta per cento di prime palle di servizio, variazioni implacabili, le righe di fondo accarezzate ad ogni colpo, le scelte giusto al momento giusto. Nole ti sottopone a una pressione insostenibile, ogni scambio superiore ai cinque colpi è suo, i trentasei anni sono uno stato dell’anima visto che la condizione fisica è da superuomo. Nessuno copre un campo da tennis come lui: quando pensi di averlo demolito con dritti angolati a 150 orari lui si allunga e ti rimanda la palla nel tuo campo con la stessa velocità, un muro di gomma. Alcaraz ne ha pagato lo scotto, racimolando cinque games dopo aver giocato un tennis celestiale. Il ragazzo di San Candido, cuore in gola, ha capito dopo pochi minuti che non ci sarebbe stata partita: non è la sera dei miracoli, semplicemente perchè Mefistofele non perde mai due volte contro lo stesso avversario a distanza ravvicinata, come se resettasse il computer di bordo e qualcosa di innaturale lo aiutasse a svelare ogni piccola crepa del rivale. Djoko è uno, nessiuno e centomila: il pugnetto provocatorio dopo ogni punto è una beffarda replica del gesto tanto caro a Sinner, per tre giorni il serbo ha covato la sua personale revenge contro quel giovanotto imberbe che aveva osato batterlo e che poi, trionfo dell’onestà, lo aveva salvato dal ludibrio battendo Rune e rimettendolo in gioco. Nole ringrazia, ma non pedona, altrimenti non sarebbe un Cannibale. I dodicimila innamorati del rosso, gli chef stellati, i Malagò e tutti i maggiorenti applaudono tiepidi il monologo della Belva balcanica. Qui non c’è una partita, stavolta: il ragazzino torna a scuola e non è un carneade qualsiasi ma il numero quattro del mondo. Eppure stasera, nell’astronave blu, sembra ancora lontano anni luce dal Nirvana del tennis, da quella nuvoletta dove siede, sorridendo, l’Assoluto della racchetta.