Il Tirreno

Prato

La scoperta

Prato, ritrovato dopo tre secoli l’altare voluto da Francesco Datini

di Paolo Nencioni

	Francesco Marchese, monsignor Daniele Scaccini e monsignor Carlo Stancari
Francesco Marchese, monsignor Daniele Scaccini e monsignor Carlo Stancari

Era nella chiesa di San Francesco, ma nel Seicento era stato coperto da un muro e poi dimenticato

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PRATO. Verso la fine del XIV secolo il pratese più famoso della storia, vale a dire il mercante Francesco di Marco Datini, tornò da uno dei suoi frequenti viaggi ad Avignone e commissionò la realizzazione di un piccolo altare nella chiesa di San Francesco, dove fece sistemare anche un crocifisso ligneo. Passati tre secoli, quando si trattò di fare i lavori per alloggiare l’organo all’ingresso della chiesa, quella nicchia fu coperta da un muro e per altri tre secoli è stata dimenticata. Ora è tornata alla luce insieme agli affreschi seicenteschi di Pier Antonio Michi e tornerà a ospitare il crocifisso, grazie agli importanti lavori di restauro che si sono conclusi di recente e di cui hanno parlato ieri, 6 novembre, monsignor Daniele Scaccini, vicario del vescovo, monsignor Carlo Stancari e Francesco Marchese, il responsabile del progetto di restauro per conto della parrocchia che già nel 2021 aveva ipotizzato l’esistenza di quella famosa nicchia ora tornaata alla luce. O meglio, che tornerà alla luce il prossimo 15 novembre, quando la Soprintendenza toglierà il velo che ancora copre l’altare e lo mostrerà alla città. Ieri monsignor Scaccini ha spiegato che i lavori di restauro, durati quattro anni (chi non ricorda l’enorme gru che ha stazionato in piazza San Francesco?), sono costati 2 milioni e 400mila euro, per il 70% finanziati dalla Conferenza episcopale italiana coi fondi dell’8 per mille e in parte dalla parrocchia di San Donato in San Francesco, oltre alla Fondazione Cassa di risparmio di Prato e alle donazioni di alcuni privati. Un imprenditore, in particolare, che vuole rimanere anonimo, ha versato 50.000 euro.

Dell’altare voluto dal Datini si erano prese le tracce fin dal XVII secolo finché uno studio condotto da Francesco Marchese e pubblicato nel 2021 su “Rivista d’arte” ha ipotizzato dove potesse trovarsi. L’ipotesi si è poi rivelata fondata all’inizio dei lavori di restauro, ma la notizia è stata tenuta riservata fino a ieri. Marchese ha spiegato di aver trovato un’antica piantina nella quale figurava la nicchia e per questo si è deciso di fare un buco nel muro, trovando il tesoro. Oltre agli affreschi di Pier Antonio Michi, nella nicchia sarà collocato un quadro che ritrae Datini e i suoi familiari e che fa da cornice al crocifisso. Era esposto in Provincia, ma nessuno sospettava che in origine fosse nella chiesa di San Francesco. 

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