La Procura di Prato chiede quattro condanne nel processo sulla “buona entrata”
I proprietari accusati di aver preteso soldi in nero per affittare i capannoni. Tre imputati sono già stati assolti in un altro procedimento simile
PRATO. I pubblici ministeri Vincenzo Nitti e Alessia Iacopini hanno chiesto quattro condanne nel processo con rito abbreviato a carico di altrettanti imputati (due agenti immobiliari e due proprietari) per la cosiddetta “buona entrata”, cioè la richiesta di pagamenti in contanti e in nero per dare in affitto i capannoni industriali del Macrolotto agli imprenditori cinesi.
Si tratta del secondo processo sullo stesso tema dopo l’assoluzione di tre imputati (i proprietari immobiliari Enrico Gatti e Alessandra Ducci e l’agente immobiliare Lorenzo Gentili) arrivata nel luglio dell’anno scorso. Ora, insieme all’agente immobiliare Gianmarco Rosati, difesi dagli avvocati Manuele Ciappi, Giovanni Renna e Tullio Padovani, sono di nuovo accusati di estorsione e reati fiscali. L’accusa chiede tre anni per Ducci e Gatti, 2 anni e 10 mesi per Gentili, 2 anni e 3 mesi per Rosati. La sentenza è attesa a gennaio.
Il primo procedimento era nato dalla denuncia presentata nel 2022 da un imprenditore cinese che sosteneva di aver dovuto pagare 400mila euro per prendere in affitto un capannone. La Procura contestò il reato di estorsione, oltre ai reati fiscali, e i due proprietari immobiliari versarono 2 milioni di euro di tasse non pagate all’Agenzia delle entrate. In aula però la tesi del pubblico ministero Vincenzo Nitti non fece breccia nel giudice Francesca Scarlatti, che assolse i tre imputati. Il secondo procedimento, quello ora in corso, è frutto di alcuni esposti presentati successivamente alla prima denuncia, ma verte su fatti sostanzialmente identici: il pagamento di ingenti somme in nero per l’affitto dei capannoni industriali. Il fatto che nel primo procedimento gli imputati siano stati assolti non significa che debba finire per forza alla stessa maniera. Il versamento dei 2 milioni di euro all’Agenzia delle entrate si riferiva anche ai contratti di affitto che sono l’oggetto del secondo processo. La tesi difensiva dei due proprietari immobiliari era che le somme pagata dagli imprenditori cinesi fossero «porzioni di canone ultradecennali pagate in anticipo e in contanti, secondo una prassi condivida da entrambe le parti in causa, inevitabile in un mercato di conduttori privi di garanzia e, purtroppo spesso, anche di affidabilità».
