Il Tirreno

Prato

La vertenza

Prato, si ribellano gli operai pagati a cottimo nella confezione senza diritti

di Paolo Nencioni

	Talla Diagne mostra il registro del lavoro a cottimo
Talla Diagne mostra il registro del lavoro a cottimo

Il titolare cinese ha provato a portare via le macchine da cucire dopo un controllo dell’Asl ma i dipendenti lo hanno bloccato e ora rischiano anche di restare senza un tetto

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PRATO. Per anni hanno lavorato 14 ore al giorno a cottimo con finti contratti part time. Poi un giorno sono arrivati gli ispettori dell’Asl che hanno contestato alcune irregolarità in tema di sicurezza sul lavoro e il titolare ha provato a portare via i macchinari, presumibilmente per riaprire l’azienda in un altro capannone.

Benvenuti in un altro pezzo di Far West lavorativo di Prato, in via Bisenzio a San Martino, tra la Casa del popolo di Coiano e il Crazy Center. Qui lo scorso 26 giugno, raccontano i dipendenti della confezione cinese San Martino, sono arrivati gli ispettori e la situazione è precipitata. Sembrava un normale controllo, che gli imprenditori cinesi senza scrupoli hanno imparato a dribblare pagando le sanzioni e ripartendo nel giro di 24 ore, ma stavolta il titolare, che si fa chiamare Federico, per qualche motivo ha deciso che gli conveniva provare a spostare la produzione. Forse aveva un altro capannone già pronto, non si sa. Sta di fatto che è arrivato con un furgone e ha iniziato a smontare le macchine da cucire. I dipendenti, vista la mala parata, hanno chiamato il sindacato Sudd Cobas e hanno occupato l’azienda, impedendo lo smontaggio dei macchinari. Da quel giorno il proprietario non si è più visto, l’attività si è interrotta e i dipendenti, che fino a poco tempo fa erano una trentina (pachistani, bengalesi, cinesi, un senegalese), ora rischiano di rimanere anche senza un tetto, perché il padrone respinto in via Bisenzio a San Martino si è trasferito nella vicina via Natale Ciampi e ha disdetto il contratto di affitto della casa dove aveva sistemato gli operai. In quell’appartamento di tre stanze con un solo bagno ci vivevano anche in 16. Ora stanno ancora lì, ma senza luce, e sono a rischio sfratto.

«Ecco, questo è il registro della produzione a cottimo – dice Talla Diagne, un operaio senegalese in Italia da 15 anni – Ci pagavano da 40 centesimi a un euro e 50 per ogni capo finito, 14 ore al giorno, sette giorni alla settimana. Tutto in nero. Se sei malato non ti pagano, se non c’è lavoro non ti pagano. Non lo racconto nemmeno a mia moglie che è rimasta in Senegal coi miei figli in quali condizioni ci tocca vivere».

Il Sudd Cobas ha provato invano a rintracciare il proprietario della confezione, che ogni tanto passa in macchina con la moglie davanti all’azienda ma non si ferma. Poi ha scritto ai cinque pronto moda del Macrolotto per i quali la confezione lavora per chiedere che si assumano la responsabilità in solido verso gli operai che hanno perso il lavoro. Un pio desiderio, infatti non è arrivata nessuna risposta. Nei prossimi giorni però i sindacalisti saranno davanti ai cancelli dei pronto moda, e questo potrebbe funzionare, perché sono i pronto moda del Macrolotto che fanno i prezzi e decidono il volume della produzione, oltre ad arricchirsi grazie allo sfruttamento del lavoro nero o irregolare. Anzi, spesso il proprietario della piccola confezione (ma quella di Coiano non è certo tra le più piccole) è anche proprietario di altre confezioni e di almeno un pronto moda.

La vertenza degli operai della confezione San Martino fa parte della terza ondata di scioperi degli Strike Days, che dalla fine di maggio fino a oggi conta 35 scioperi e 33 accordi di regolarizzazione già firmati.

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