Il “principe di Boccadarno” che raccontava ultimi e periferie
Ieri, giovedì 16, era il sessantesimo anniversario della morte di Giuseppe Viviani. È stato uno dei pittori più importanti del territorio, di grande originalità
Ricorrevano ieri i 60 anni dalla morte del maestro Giuseppe Viviani (16 gennaio 1965), uno dei più importanti artisti pisani nel Novecento. Fu pittore, incisore, poeta, ma anche, per passione, cacciatore e pescatore di cèe e arselle.
Bepi, così era soprannominato dagli amici più stretti, nacque ad Agnano Pisano il 18 dicembre 1898. Poche le notizie biografiche relative alla sua infanzia: perse il padre Niccola (chimico e direttore di una fabbrica chimica nella zona di Ferrara) a soli due anni e dovette tornare di casa con madre Jenny Redini presso l’abitazione della famiglia materna presso l’attuale via Pietro Gori; il nonno era un ortopedico che fabbricava arti finti, soggetti che rimasero impressi nella memoria dell'artista bambino, tanto che poi li inserì in molte sue opere. Viviani non frequentò le scuole e trascorse la gioventù a Marina di Pisa. Senza alcuna guida accademica, si dedicò sin da giovane alle arti figurative, affiancando alla pratica artistica svariati mestieri, almeno fino alla fine della seconda guerra mondiale: fu prima garzone nella bottega del nonno, poi impiegato di una ditta che recuperava marmi sui fondali marini, poi anche venditore, pescatore e cacciatore.
I primissimi dipinti risalgono al 1916, quando cominciò a ritrarre il paesaggio del litorale pisano, più come svago che come impegno. Senza maestri né particolari riferimenti visivi e con limitate possibilità di accedere (anche solo tramite libri e riviste) al mondo delle avanguardie italiane e internazionali, Viviani seguì inizialmente la via del paesaggismo toscano. La sua prima mostra si tenne in un locale di piazza delle Baleari a Marina di Pisa nel 1922; in quell’anno aveva già cominciato a sperimentare anche le tecniche incisorie.
Il rapporto strettissimo con il litorale e i molti dipinti relativi al mare e alla pineta di Tombolo, gli sono valsi anche l’appellativo de “Il principe di Boccadarno”. Giuseppe Viviani è stato dunque artista poliedrico di straordinaria originalità. La sua proverbiale vena poetica non ha avuto nulla da invidiare alla genialità di Giorgio Morandi e Luigi Bartolini, che come lui furono peraltro incisori tra i più apprezzati del secolo scorso.
Le sue opere pittoriche principali sono coloratissime e ricche di elementi stravaganti e comuni allo stesso tempo: biciclette e cocomeri, cani e gelatai, foglie di fico e prostitute solitarie, vespasiani e zuppiere. Con questi elementi l’artista ci ha raccontato, con struggente malinconia, tante storie degli ultimi, le loro periferie surreali e fiabesche.
I colori del pittore e i segni nella lastra dell’incisore hanno affascinato e coinvolti alcuni dei grandi intellettuali dell’epoca (poi divenuti suoi amici): da Sebastiano Timpanaro a Carlo Ludovico Ragghianti, da Enzo Carli a Giuseppe Mesirca, da Piero Chiara a Giovanni e Vanni Scheiwiller. Raggiunse la meritata notorietà soltanto nel secondo dopoguerra: era il 1948 quando gli fu conferita la cattedra di incisione presso l'Accademia di Belle Arti di Firenze. Iniziò così per Viviani un periodo di grandi successi, con la partecipazione a importanti mostre e concorsi internazionali di incisione, che lo videro più volte vincitore.
Nel 1960 la città di Pisa gli dedicò una grande retrospettiva che ripercorreva tutta la sua opera, e gratificò l'artista con la nomina a “cittadino benemerito”. Pochi anni dopo, quando aveva stabilito ormai da tempo la sua bottega d’arte al posto del Teatro Redini in disuso (e di proprietà di famiglia), iniziò ad avere problemi di salute. A causa della sua inquietudine, i medici dettero la colpa a un “esaurimento nervoso”.
Quella diagnosi fu anche la sua condanna a morte. Lo stesso Viviani aveva scritto: «Che Dio mi faccia morire, come una martellata abbatte un pidocchio; senza accorgermene, senza dire una parola». E così accadde! Arrivò all'ospedale privo di sensi e i sanitari ipotizzarono un attacco di epilessia.
Era invece gravemente malato di diabete e morì senza riprendere conoscenza la mattina del 16 gennaio 1965. Nella camera ardente la salma fu esposta con un vestito elegante, lui che era abituato alla divisa da cacciatore. Ma tra le mani aveva il suo primo fucile. Riposa nella chiesa di San Francesco.
All'indomani della sua morte, nel 1965, gli venne dedicata una mostra nell'ambito della IX Quadriennale di Roma. Al passato recente appartengono la risistemazione della piazza a lui dedicata a Marina di Pisa e una bellissima mostra organizzata dal Museo della Grafica a Palazzo Lanfranchi nel 2023, dal titolo “I colori dell’anima”; con queste parole Giuseppe Viviani giustificava il magico accordo cromatico di un suo dipinto del 1941 (La zuppiera) tanto amato dall’amico Giuseppe Mesirca. La mostra ha avuto un bel successo, ma lo spessore della figura artistica di Viviani meriterebbe ben altro, soprattutto nella sua città.
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