Elba, morì all’ospedale Cisanello per errori in sala operatoria: medici e azienda condannati al risarcimento
Chiusa dopo 13 anni la vicenda giudiziaria di Filippo Conti, morto a 49 anni. L’elbano fu sottoposto a un intervento chirurgico di riparazione della valvola mitrale del cuore. Confermata in sede di appello la colpa a carico dell’Aoup e dei cardiochirurghi
Tredici anni. Pochi, certo, per cancellare un dolore che resterà per sempre. Troppi, invece, per ottenere una giustizia che, tuttavia, è arrivata. Filippo Conti aveva 49 anni e una vita da vivere quando, il 10 dicembre del 2012, entrò nella sala operatoria dell’ospedale di Cisanello, a Pisa, per un intervento di riparazione della valvola mitrale, complicato ma non disperato. Ma Filippo non si risvegliò più.
La causa civile
«Non accusiamo nessuno, ma vogliamo chiarezza», dissero i familiari all’epoca del decesso quando firmarono l’esposto invocando trasparenza nel percorso sanitario seguito dal paziente. Fu l’inizio di una battaglia legale che, a meno di un ricorso di Cassazione, è giunto finalmente al termine. Archiviato il procedimento penale, i familiari di Filippo scelsero la strada della causa civile. Ecco, nelle ore scorse la Corte d’Appello di Firenze, ha confermato la sentenza di primo grado con la quale fu ravvisata la grave negligenza in sala operatoria e furono condannati l’Azienda ospedaliera universitaria pisana e i due cardiochirurghi che seguirono Filippo, stabilendo un risarcimento da 560mila euro a favore della moglie, della mamma (ora morta), di fratello e sorella costituiti in giudizio, condannando l’azienda e i medici coinvolti a pagare le spese processuali.
Chi era Filippo Conti
«La sentenza di Appello in un certo senso rafforza le tesi emerse in primo grado», commenta al Tirreno Marcella Merlini, moglie di Filippo Conti e oggi capogruppo con Bene Comune in consiglio comunale a Portoferraio. La morte di Filippo Conti fu una tragedia che davvero scosse la comunità elbana. Persona conosciutissima, lavorava in un panificio. La sua grande passione era il mare, era un ottimo pescatore, frequentava il circolo nautico Teseo Tesei. Ma tanti elbani lo ricordano al lavoro al mitico disco-pub Inferno in località Capannone, a Portoferraio. Un elbano vero andato via troppo presto.
Una negligenza in sala operatoria a Cisanello cambiò infatti la prospettiva dell’uomo, arrivato all’ospedale Cisanello di Pisa in condizioni molto serie dopo un primo passaggio a Portoferraio. Il ricovero Conti era entrato in sala operatoria per essere sottoposto a un intervento di riparazione della valvola mitrale del cuore. Operato il 10 dicembre 2012, il paziente non si risvegliò più. Morì alle 13.50 del giorno dopo. Era ricoverato da circa un mese, inizialmente all’ospedale elbano, per curare un’infezione polmonare, a cui si erano aggiunti problemi di natura cardiaca. Quelli che poi costrinsero i medici a intervenire. In modo corretto come approccio iniziale necessario per l’emergenza sopraggiunta, meno nell’esecuzione, secondo la sentenza di primo grado del Tribunale pisano.
La cartella clinica
Si legge nella sentenza di primo grado che «dalla documentazione risulta - ed è stato confermato dai Ctu - che la cartella clinica relativa all’atto operatorio presentava evidenti lacune e gravi inesattezze. Anzitutto, la compilazione della cartella clinica risulta inficiata dalla incongrua e parzialmente omessa descrizione delle lesioni vascolari verificatesi nel corso dell’atto operatorio». Per il Tribunale «in definitiva, attesa l’incompletezza della cartella clinica e la sua incongruenza rispetto all’indagine autoptica, non può ritenere correttamente e diligentemente adempiuto da parte dei sanitari convenuti l’obbligo di compilazione della cartella».
La colpa medica
La causa ha avuto tempi lunghi e, come avviene nei casi di presunta colpa medica, sono le consulenze degli specialisti a orientare le decisioni del Tribunale. Per il giudice di primo grado «la documentazione medica acquisita agli atti, e più segnatamente la lacunosa ed incompleta cartella clinica redatta dai sanitari, e le risultanze dell’elaborato peritale consentono di ritenere provato per presunzioni il nesso causale esistente tra la condotta colpevole dei sanitari dell’Azienda resistente - per non avere attuato durante l’atto operatorio l’adeguata protezione miocardica mediante somministrazioni di soluzione cardioplegica - e l’evento dannoso patito dal signor Conti, consistito nella morte del paziente».
La causa di morte
L’inadeguata protezione miocardica da parte dei medici nel corso dell’intervento chirurgico del 10 dicembre 2012 «va qualificato come elemento dotato di rilevanza predominante, rispetto alla duplice lesione vascolare ed alla patologia polmonare flogistico-infettiva preesistente a carico del paziente». Una negligenza costata la vita al 49enne Filippo Conti.
La conferma in Appello
Mentre in sede civile il giudice ha riconosciuto un risarcimento di 560mila euro per la famiglia, il processo penale per la morte di Filippo Conti, nel dicembre 2012, non ha accertato responsabilità. Nell’aprile del 2014 il gup del tribunale di Pisa, Giulio Cesare Cipolletta, ha infatti accolto la richiesta di archiviazione presentata dal pm Antonio Giaconi contro la quale i legali della parte civile avevano fatto opposizione. Così il giudice ha depositato la sentenza con cui archivia la posizione degli indagati per omicidio colposo, i chirurghi Giovanni Scioti e Stefano Pratali del reparto di cardiochirurgia, assistiti dagli avvocati Stefano Del Corso e Max Giordano Marescalchi. La famiglia di Conti non ha fatto ricorso in Corte di Cassazione contro il provvedimento, ma ha portato avanti una causa civile. Il processo si è concluso in primo grado a dieci anni dalla morte del 49enne portoferriese e ci sono voluti altri tre anni per l’Appello.
