Carrara, azienda condannata a risarcire i danni da stress all’ex dipendente
Niente auto ma destinazioni di servizio anche a 180 chilometri dalla residenza
CARRARA. L’azienda gli chiedeva di spostarsi per lavorare come portiere di notte – con turni dalle 22 alle 5 – anche a distanze di 180 chilometri dalla sua residenza pur sapendo che non aveva l’auto. Ordini di servizio ripetuti nel tempo, a cui lui aveva risposto con certificati di malattia dopo essersi fatto male a un ginocchio mentre andava al lavoro. «Non posso andare a Empoli e Firenze, sono senza macchina, almeno datemi quella aziendale» era la risposta dell’uomo agli ordini di servizio della dirigenza che gli negava il veicolo. Un quadro questo in cui la sua situazione di salute personale si era aggravata anche con uno stato di ansia e umore depresso: stress debilitante, gli era stato diagnosticato.
Nel 2022, l’epilogo, con il licenziamento per giusta causa per le prolungate assenze da parte dell’azienda, la “Globo vigilanza” di Pistoia. L’uomo ha impugnato il provvedimento, ritenendolo illegittimo, chiedendo reintegro e mensilità arretrate. Il giudice ha respinto la richiesta, non riconoscendo l’intento discriminatorio o ritorsivo, ma ha condannato l’azienda a risarcire i danni morali, biologici e i patrimoniali all’ex dipendente: circa 10mila euro.
Questa la sentenza del tribunale di Pistoia nella causa tra l’ex dipendente, residente a Carrara, e la Globo vigilanza, che ha sedi in tutta la Toscana. Il rilievo mosso all’azienda non è quello di mobbing. Per il giudice Emanuele Venzo «anche a prescindere dalla sussistenza di un intento persecutorio (per vero, nella specie, non provato) l’insieme delle condotte datoriali si pongono in contrasto con l’obbligo, riconducibile all’articolo 2087 del codice civile, di evitare ai dipendenti lo svolgimento della prestazione con modalità e in un contesto indebitamente “stressogeno”».
Prima del cambio di appalto, il lavoratore era in servizio come portiere in un’azienda di trasporti di Livorno. Da Carrara era fattibile. Poi con la nuova società erano iniziate le modifiche sulle destinazioni. Gli chiedevano di andare a fare il servizio di portierato a Monteriggioni o a Firenze. Lui una volta aveva scritto: «Siccome non mi è possibile raggiungerla (San Vincenzo a Torri, ndr) in tempi adeguati coi mezzi pubblici poiché mi richiederebbe dalle 6 alle 7 ore di viaggio, andata e ritorno, causa i numerosi cambi di bus e treno richiesti e non possedendo un’automobile, vengo a chiedervi l’utilizzo di una vostra auto aziendale per poter ricoprire i turni assegnatomi e il rimborso delle spese da sostenere per tale trasferta».
E l’azienda: «Ci dispiace la problematica da lei rilevata in merito alla sua ubicazione lavorativa. Altresì non posso che rimandarla alle nostre precedenti comunicazioni e a quanto previsto dal contratto sia nazionale che aziendale, che non prevede la fattispecie da lei richiesta. La invito quindi a presentarsi in servizio nei tempi e nei luoghi indicati».
Se per il tribunale il licenziamento non è stato discriminatorio, né ritorsivo «è pacifico, oltre che documentale, che tali destinazioni fossero difficili da raggiungere per un soggetto residente a Carrara e privo di automezzo di proprietà, quindi antieconomiche, richiedendo più di 8 ore di viaggio giornaliere con più mezzi pubblici per finire con oltre mezz’ora a piedi, senza considerare il tempo necessario per riposare».
E nella sentenza si sottolinea che gli ordini di servizio «risultavano oltretutto scarsamente compatibili con le condizioni di salute del ricorrente, appena rientrato da un infortunio sul lavoro e ancora in attesa di essere operato al ginocchio. Occorre poi evidenziare che con sede legale a Pistoia ma avente sedi operative nelle città Arezzo, Carrara, Empoli, Firenze, Grosseto, La Spezia, Livorno, Lucca, Pisa, Prato, Siena, l’azienda non ha saputo giustificare l’effettiva necessità di ricorrere al dipendente anziché ad altri dipendenti residenti in località più prossime a quelle ove era richiesto lo svolgimento di detti servizi».
Niente mobbing, dunque, ma la società «non ha dato prova di aver assolto agli obblighi di appropriatezza nella gestione del personale e, quindi, di aver adoperato le cautele che rendessero sicuro l’ambiente di lavoro e l’obbligo generale di prevedere ogni possibile conseguenza negativa della mancanza di equilibrio tra organizzazione di lavoro e personale impiegato».
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