Livorno, test su chi vive in aree inquinate: via al reclutamento dell’Asl – Chi sarà chiamato, i test e cosa può succedere dopo i risultati
L’adesione (riguarda anche Piombino) è su base volontaria e prevede analisi varie ed elettrocardiogramma
LIVORNO. Uno studio su un campione rappresentativo di mille persone, tra livornesi e piombinesi, per arrivare a rispondere a una domanda che sembra semplice ma che, a livello scientifico, non lo è: vivere accanto a un Sin è rischioso?
Il progetto si chiama Insinergia, è nazionale, finanziato con fondi europei, vale 3 milioni e riguarda la tutela della salute pubblica nei siti contaminati. «Questo studio – dice il dottor Alessandro Barbieri, direttore del settore igiene e sanità pubblica dell’Asl Toscana nord ovest – vorrebbe dare una risposta ai cittadini».
E lancia un appello: «Chi viene contattato dall’Asl per sottoporsi alle analisi aderisca, è importante». Si tratta di analisi del sangue, della saliva, dell’urina, misurazione della pressione e della frequenza cardiaca per valutare, appunto, l’esposizione agli inquinanti ambientali e per analizzarne i possibili effetti sulla salute.
Il progetto, anticipato nei giorni scorsi dal Tirreno, è stato illustrato durante una conferenza a cui hanno preso la parola, oltre a Barbieri, la dottoressa Roberta Consigli, direttrice del Dipartimento di Prevenzione dell’Asl Toscana nord ovest, Fabrizio Minichilli del Cnr e Miriam Levi, direttrice dell’Unità funzionale Epidemiologia dell’Asl Toscana Centro. Ma andiamo con ordine.
Cos’è un Sin
Intanto è bene chiarire che per Sin si intende un sito di interesse nazionale, come specificato dalla dottoressa Consigli, «che è oggetto di un procedimento di bonifica rispetto a inquinamenti determinati da pregressi insediamenti industriali». Quello di Livorno corrisponde alle aree della raffineria Eni, della centrale Enel e alle acque esterne alle Dighe foranee, mentre quello di Piombino abbraccia grosso modo l’area del polo industriale. E sono questi i territori “sorvegliati speciali”.
La platea
Nello studio saranno coinvolte 700 persone di Livorno ( che faranno riferimento alla sede Asl di Borgo San Jacopo) e 300 di Piombino (che saranno visitate in via Forlanini). «Si tratta – spiega Minichilli – di soggetti sani che abbiano un’età compresa tra i 20 a i 64 anni suddivisi per fasce concentriche di esposizione prendendo come centro il perimetro del Sin». E adesso, aggiunge Consigli, siamo nella fase «di interpello dei cittadini (per telefono o per iscritto, ndr) di cui sollecitiamo la partecipazione, a titolo volontario, al progetto in questione».
I test
Chi sarà contattato e deciderà di aderire effettuerà un colloquio medico per la verifica dei requisiti di inclusione, poi firmerà il consenso informato, fornirà campioni di sangue, saliva e urina, sarà sottoposto ad elettrocardiogramma e alla misurazione della pressione arteriosa e, infine, compilerà un questionario relativo a condizioni ambientali, abitudini di vita, esposizioni professionali, alimentazione, condizioni socio-economiche e storia clinica.
La durata
I materiali biologici raccolti consentiranno l’analisi di biomarcatori di esposizione utili per individuare precocemente eventuali alterazioni legate ai contaminanti ambientali. Metalli pesanti, per esempio. Ma anche altri tipi di inquinanti tossici. La durata complessiva dello studio è di 20 mesi, ma ogni partecipante sarà coinvolto solo per il tempo necessario alle procedure previste, circa 90 minuti complessivi. «Speriamo – dice Minichilli – di avere i primi campioni all’inizio del 2026 in modo tale da trovarsi entro la fine dell’anno ad avere dei risultati sul biomonitoraggio umano. Vorremmo poter arrivare a definire la causalità delle relazioni che stiamo studiando. Non è facile riuscirci, ma ce la stiamo mettendo tutta. E si tratta di un grosso traguardo perché possiamo iniziare a parlare di un binomio tra ambiente e salute».
I risultati
E che cosa succederà nel caso in cui lo studio dimostrasse che vivere accanto a un Sin comporta rischi per la salute? «Se avremo il risultato di un esame alterato – spiega Consigli – allora quell’utente sarà preso in carico. Sono già stati informati i medici di medicina generale. I risultati complessivi dello studio, invece, sono collettivi e avranno sicuramente l’importanza di dare indicazioni per il futuro relativamente alla prevenzione di situazioni analoghe. Vedremo poi se possiamo, da quelle analisi, avere suggerimenti di misure da attuare sul territorio. Ma è prematuro. Sono studi sperimentali che hanno l’obiettivo di fornire modelli d’indagine che potrebbero poi essere esportati. Ma dobbiamo prima aspettare gli esiti».
Potrebbero comunque derivarne, conclude la dottoressa Levi, «evidenze epidemiologiche utili a orientare politiche di prevenzione e strategie di mitigazione». La letteratura scientifica evidenzia, cioè, che contaminazioni ambientali possono essere associate a un aumento del rischio di numerose patologie, tra cui malattie tiroidee, epatiche, renali, cardiovascolari, respiratorie, disturbi riproduttivi e alcune forme oncologiche. E lo studio portato aventi mira appunto a definire un quadro aggiornato dei livelli di esposizione e dei potenziali rischi sanitari, fornendo così strumenti utili alla programmazione. Coinvolti anche Arpat, università, Istituto zooprofilattico e Ispro.
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