Il Tirreno

Livorno

L'inchiesta

Si fingono imprenditori livornesi per far entrare gli stranieri in Italia: cinque arresti, chi sono

di Stefano Taglione
La conferenza stampa dei carabinieri
La conferenza stampa dei carabinieri

Sono ai domiciliari grazie alle segnalazioni della prefettura e all'indagine dei carabinieri. Dal "Caf" abusivo ai documenti falsificati: si erano spacciati pure per l’Ornellaia

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LIVORNO. Avrebbero sfruttato illecitamente il “Decreto flussi” che consentiva, in maniera snella, l’ingresso in Italia dei lavoratori extracomunitari. Per lo più bengalesi, ma anche indiani. Un percorso semplificato, quello adottato un anno fa dal Governo, per rispondere al fabbisogno di manodopera non specializzata palesato dalle imprese nazionali, ad esempio per i lavori nei campi o nell’edilizia. Personale non facile da reclutare in Italia, soprattutto per le paghe non certo allettanti in rapporto allo sforzo fisico e alla fatica. Lo stratagemma? I “click day” – i giorni in cui per via telematica, sui siti delle prefetture, si poteva fare istanza per chiedere i nullaosta propedeutici ai permessi di soggiorno – in cui i malviventi, nelle domande per reclutare i braccianti asiatici, si sarebbero sostituiti ai legali rappresentanti di alcune aziende della provincia di Livorno, come le eccellenze vitivinicole di Bolgheri Ornellaia e Masseto e Agricola Chiappini, estranee ai fatti e risultate truffate per la richiesta complessiva di 41 operai: 37 bengalesi, tre indiani e un egiziano, nessuno dei quali ha mai raggiunto l’Europa grazie all’intervento dei carabinieri. L’indagine, svolta dai militari dell’Arma, è stata resa possibile grazie alla solerzia dei dipendenti della prefettura di Livorno, che nel marzo scorso dopo il primo “click day” si sono accorti, in mezzo a centinaia di richieste regolari, che qualcosa non andava, dando impulso al lavoro degli inquirenti, che hanno poi scoperto un sistema che sarebbe andato ben oltre quanto emerso fino a quel momento.

Il sistema

L’indagine penale è quindi scattata dopo la denuncia dei legali rappresentanti di Ornellaia e Masseto e Agricola Chiappini, che non avevano fatto alcuna richiesta per assumere operai stranieri e si sono ritrovati, invece, coinvolti loro malgrado con i documenti di identità falsificati. Ma fra le imprese raggirate, da persone che però al momento non sono state individuate, ci sono anche la Tenuta San Guido, simbolo dei vini col Sassicaia, e la Società agricola Citai, entrambe di Bolgheri. Secondo l’accusa, in cambio di denaro al momento non quantificato, due distinti gruppi partenopei (uno dei quali accusato di aver allestito un «caf abusivo» per la consulenza fiscale) tramite un procacciatore di manodopera asiatica avrebbero individuato gli extracomunitari da far entrare in Italia e, falsificando i documenti dei rappresentanti delle ditte, avrebbero inoltrato alla prefettura le istanze per il rilascio dei nullaosta per ottenere i permessi. Nelle loro intenzioni, il Palazzo del Governo, avrebbe dovuto “rispondere” in un mese con il silenzio-assenso e da quel momento, grazie al “Decreto flussi”, i richiedenti avrebbero ottenuto facilmente il visto per arrivare in Italia al consolato e alla nostra ambasciata nel loro Paese. Dopodiché avrebbero potuto acquistare il biglietto aereo e superare la frontiera, il loro obiettivo. Poco importa se entro sette giorni, col datore di lavoro, avrebbero dovuto presentarsi nel consolato di appartenenza in Italia (quello del Bangladesh, dell’India o dell’Egitto a seconda della nazione di provenienza) per regolarizzare la propria posizione e iniziare a lavorare. Non lo avrebbero mai fatto, perché non era quella la loro intenzione. Il fine era entrare in Europa e viverci da clandestini, guadagnandosi in qualche modo da vivere e inviando in patria quanti più soldi possibile. «A Livorno abbiamo messo un freno a questo fenomeno – spiega il tenente colonnello dei carabinieri Rocco Taurasi, a capo del reparto operativo del comando provinciale labronico – dato che dalla prefettura hanno notato accessi ai portali con credenziali non strettamente riconducibili alle aziende in questione. Noi, già nel novembre scorso, abbiamo effettuato le prime perquisizioni a casa degli indagati, sequestrando importante documentazione per bloccare il sistema. Abbiamo trovato timbri e documenti riferiti a una pluralità di aziende, circostanza che ci fa pensare come il fenomeno fosse di più ampio respiro e non soltanto labronico».

I nomi

Per questo cinque persone, tutte napoletane, sono finite agli arresti domiciliari. A operare le ordinanze di custodia cautelare firmate dal giudice per le indagini preliminari Gianfranco Petralia i carabinieri del nucleo operativo di Livorno, comandato dal neotenente colonnello Guido Cioli, i colleghi del nucleo ispettorato lavoro, guidati dal luogotenente Aldo Ferrecchia, e i militari dell’Arma territoriale. Sono il quarantottenne di Palma Campania Mario Ferrara, il quarantatreenne di Carbonara di Nola Umberto Saviano, la moglie trentatreenne Antonietta Sorrentino, il cinquantunenne di San Giuseppe Vesuviano Angelo Prisco e la coetanea grossetana, originaria però di Pompei, Consiglia Esposito. A difenderli gli avvocati Maria Ferrara, Andrea Ladogana, Enrico Ranieri e Alessio Ciampini. I primi tre sono indagati per favoreggiamento dell’immigrazione illegale, sostituzione di persona e falsità materiale per aver, secondo l’accusa, «al fine di determinare il rilascio del visto di ingresso nei confronti di 16 extracomunitari (di cui 14 provenienti dal Bangladesh e 2 provenienti dall’India) – si legge negli atti – falsificato le istanze di regolarizzazione dei lavoratori e facendole apparire come fintamente presentate dalla società Ornellaia e Masseto trasmettendole alla prefettura», inducendola «in errore sostituendo illegittimamente la propria persona a quella di un rappresentante dell’azienda e contraffacendo la sua carta di identità». Prisco ed Esposito, invece, sono coinvolti nel favoreggiamento dell’immigrazione illegale e nella falsità per aver «falsificato le istanze di regolarizzazione di 25 lavoratori (di cui 23 provenienti dal Bangladesh, uno dall’Egitto e uno dall’India) facendole apparire come falsamente presentate dall’agricola “Chiappini”».

Le altre aziende

Dai documenti sequestrati sono emerse altre aziende che, secondo l’accusa, di lì a poco avrebbero potuto essere truffate con lo stesso modus operandi. Visure e atti di bilancio nel materiale rinvenuto, tutto sui pc. Le aziende sono la cooperativa “Il Carro” e l’Agricola Pisana di Livorno, “La Ghinchia”, la “O.T. Agricola”, la Alu e la Castaldi di Cecina, “Terre della Rinascita” di Castelnuovo della Misericordia, nel comune di Rosignano Marittimo, la “Maricoltura” di Capraia, diverse nel comune di Castagneto Carducci – Matluc, “In Carrozza”, “Il Vignone”, “Tenuta Campo al Signore” e “Poggio al Tesoro” – la Lomas di Collesalvetti, “Salvapiano”, Brancatelli e l’agricola “San Frediano” a Piombino, “Chiusa Grande” e “Bellavista” a San Vincenzo, l’agricola Vignudelli di Procchio, all’Elba, la “Nedo” di Campiglia e la “Forest Farm” di Sassetta.

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